Logbook 65 – I fiori di Dostoevskij

E così, in qualche modo, è saltata per aria la Moskva, orgoglio della Marina russa. Incendio a bordo che sia stato o missili Made in Ukraine particolarmente centrati, il colpo è pesante per un esercito che pensava di concludere tutto in ventiquattro ore. La cosa che lascia più perplessi in realtà è l’organizzazione o come è più corretto dire la logistica di un avvenimento di portata globale, pieno di errori e di quelle che a tutti gli effetti possiamo definire vere e proprie tragiche cialtronerie.

Putin non sapeva che mandava giovani impreparati su un fronte che avrebbe reagito? Questa reazione di popolo era imprevedibile per i servizi russi? Possibile? Le forze speciali sono state subito fermate ma non avrebbero dovuto essere fra le più efficienti del mondo? I carri armati, validi per una guerra nucleare ma non per una guerra tradizionale, sono stati bloccati da forze ucraine disperse sul terreno – il proprio terreno – quando non sono stati riutilizzati contro i loro precedenti proprietari. Da quattro a otto generali uccisi sul fronte in cinquanta giorni e uno si chiede come sia possibile? Eccesso di generali fra i russi? Esposizione eccessiva per controllare da vicino le proprie truppe? Anche qui, altro punto interrogativo. Saltano le cisterne di carburante e non si sa chi sia stato? Nave Moskva che fa da giorni sulla linea di fronte una rotta ripetitiva e prevedibile come quella di una corriera, diventando praticamente il sogno condiviso di tutti i direttori di tiro – i DT – di qualsiasi Marina del mondo in qualsiasi epoca. Eccetera. Eccetera. Eccetera.

E noi qui, con i nostri limiti, a chiederci se si può mettere in gioco l’equilibrio del mondo con un evento composto anche – se non soprattutto – da eventi che solo la tragedia in corso impedisce di definire fantozziani. Non è cosa nuova se ad esempio i soldati italiani nel 1940 vennero mandati a combattere con gli scarponi di cartone o quasi. Intendiamoci, non è che non ci fossero gli scarponi buoni. C’erano ma erano serrati nei magazzini delle furerie, come racconta magistralmente Arrigo Petacco. Dopo l’8 settembre quando i magazzini militari vennero sfondati si scoprì che erano pieni di goni materiale bellico che sarebbe stato prezioso in Russia, in Africa, in Albania, in Grecia. Le guerre sono anche questo ma c’è un limite.

Insomma niente di nuovo. Ci si poteva aspettare, rispetto all’Italietta mussoliniana, qualcosa di meglio da una delle tre potenze mondiali. Il convincimento che l’Ucraina non avrebbe reagito, che l’Europa si sarebbe terrorizzata davanti alla personalità dello zar ma anche alla sua stessa – antica almeno fino a oggi – incapacità di fare squadra, le sanzioni impreviste o sottovalutate, la amica Cina che sta aspettando sulla famosa riva del fiume che la corrente gli porti gli avanzi di questa idiozia politica, di questo errore sanguinario.

Eppure il centro di tutto, c’è da considerare, è proprio Mosca. È lì che forse sta succedendo qualcosa di cui è difficile capire la portata. Certo trent’anni di regime hanno distrutto qualsiasi opposizione credibile ma è impossibile che non monti una opposizione russa, di quelli che amano Dostoevskij non perchè è russo ma perchè è Dostoevskij?

Nei giorni scorsi la Polizia russa ha tentato di interrompere un concerto in cui un pianista russo suona un brano di un autore ucraino. Le immagini – a detta degli esperti autentiche – girano sul web in queste ore e meritano una qualche attenzione. La gente applaude a lungo il concertista che non interrompe il suo concerto nonostante le pressioni dei due agenti. Non fischia i poliziotti ma applaude il concertista. Certo di contro, qualche giorno prima, era arrivato un cocktail di vernice rossa e acetone per il Premio Nobel Muratov, mentre viaggiava in treno, ma è roba che tanfa tanto di tradizionale piccola intimidazione da regime. Qualsiasi dissidente in qualsiasi dittatura ne ha subito decine. E i regimi sono tali perchè hanno paura della verità, come peraltro ben noto, e se per di più è un Nobel, figurarsi.

Un buon esempio, rispetto alla verità, potrebbe essere la storia del video in cui soldati ucraini starebbero sparando alle gambe a prigionieri russi. Ormai sappiamo che il video è una bufala ma la reazione immediata del governo di Kiev è stata l’apertura di una inchiesta formale mentre, quando si è trattato di Bucha, il regime russo ha evocato agghiaccianti set cinematografici. Sono piccoli dettagli ma che chiariscono la differenza fra una democrazia – con tutte le sue fragilità e limiti – e un regime che si regge solo su violenza e menzogna, dove tribunali e giornali sono al servizio del potere vigente, per di più un potere senza scadenza.

E dunque, in questo momento e nonostante tutto, Mosca diventa il centro di tutto. Oltre alla democrazia in Ucraina, occorre avere infatti a cuore anche quella democrazia che oggi appare impossibile a formarsi in Russia ma che forse può sbocciare da questa tragedia. Una nuova Russia libera e democratica è ragionevolmente il vero unico grande incubo che ossessiona le notti di Putin. Il consiglio da dargli – nel caso – è proprio quello di lasciare perdere Dostoevskij (ma anche Gogol’) perchè la vera Russia da sempre è lì, comunque e nonostante tutto, e sottovalutarla potrebbe essere stupido.

Una opinione su "Logbook 65 – I fiori di Dostoevskij"

  1. Se fosse vera (difficile credere a chi mente nove volte su 10 e a volte di piu’) la versione del Cremlino sarebbe. persino piu’ imbarazzante. Nemmeno la gloria della battaglia, giusto la cialtroneria. Pare che la nave si chiamasse diversamente, prima e, si sa’, cambiare nome alle navi porta sfortuna. Il parallelo con le avventure guerresche fasciste e’ venuto in mente anche a me, con un certo sollievo perche’ finalmente qualcuno ridimensiona il badoglismo italico (che purtroppo alberga ancora in alcune dichiarazioni di alcuni generali italiani di oggi: con un po’ di pazienza forse il tempo ne avra’ ragione). La grande debolezza del regime putiniano e’ sempre piu’ evidente. Anche le ripetute minacce alla NATO e all’Europa sono di giorno in giorno piu’ stantie, un po’ come quelle del bulletto camorrista pieno di cocaina che infastidice il quartiere ma cui nessuno da’ retta sul serio. Un aumento della minaccia nucleare nel Baltico e’ a vuoto, visto che ci sono gia’ adesso testate sufficienti, tra Murmansk e Kaliningrad, per spianare tutta la Scandinavia e il resto d’Europa in cinque minuti. Putin cadra’. Non per un intrvento della NATO nella guerra in Ucraina. Ma perche’ il popolo russo stesso ne avra’ ragione. E non dovremo nemmeno aspettare troppo. Si sa che per tradizione i dittatori hanno una scadenza ad una ventina d’anni. Alcuni si consumano anche una volta scaduti, ma si capisce subito quando sono da buttare.

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