Logbook 67 – Farewell

Avete presente quel gran genio dell’amico di Mogol e di Battisti? Quello che, con un cacciavite in mano, fa miracoli. In realtà si chiama – o forse meglio, si dovrebbe chiamare, perché all’epoca era poco più che un bambino – Maurizio. È praticamente lui.

Poca pazienza per una scuola che non gli dava né risposte né strumenti, quindi al lavoro subito. A sedici anni sapeva già saldare l’acciaio e usare il tornio, a diciassette lavorava alle nuove costruzioni del porto industriale, di Civitavecchia, camminando a settanta metri da terra sulle putrelle d’acciaio sospese fra le nuvole, non molto più in basso di quelle su cui fanno la loro colazione immortale gli operai della foto di Ebbets. Da lì in poi ci sono stati tutti i lavori possibili, dalle barche da pesca ai silos fino a passare, una volta entrato nella storica cooperativa dei portuali civitavecchiesi, alla conduzione e alla manutenzione di tutti i mezzi operativi del porto. Emanuela, sua moglie e la sua compagna da sempre, ha lavorato invece per parecchi anni in una casa per anziani poi, qualche anno fa, ha mollato e si è dedicata alla famiglia cioè Maurizio e le due figlie, Sara e Michela, cui si sono aggiunti i rispettivi compagni e la prima nipotina, Roberta. 

Il mare è sempre stato una presenza familiare costante. La prima barca fu una vecchia lancia di una nave, trovata abbandonata e ritrasformata in una splendida barca, lavorandoci in tutti i momenti di tempo libero. Con la sua vendita e facendo molte economie, riescono poi a comprarsi il Pacio, un bel Carter 33 della metà degli Anni Settanta, anche quello da ristrutturare.

Sul Pacio crescono le bambine e trascorrono gli anni. Maurizio insieme ad altri nel frattempo costituisce una associazione che fa conoscere la vela ai ragazzi accolti nella vicina comunità di Don Egidio Smacchia. 

Poi un giorno, improvvisamente, loro due decidono di mollare trenta anni di mare e dedicarsi a un piccolo pezzo di terra, ereditato in famiglia, che trasformano in un paio di anni in un giardino di frutti e di fiori.

Una scelta di fondo, una rasoiata secca con il passato. Il Pacio viene dunque messo in vendita – anche un po’ forse con la segreta speranza che nessuno lo compri – ma certe scelte esigono un taglio e il taglio deve essere definitivo. Dopo qualche tempo comunque, la barca viene venduta a un giovane romano affascinato dalla vela. Il fascino della vela, come noto, dopo le prime uscite o diventa parte di te o scompare molto rapidamente. Per il nuovo giovane armatore fu buona la seconda e così il Pacio cominciò a ingrigire all’ormeggio.

Passava intanto il tempo. Erano ormai quasi cinque anni che Maurizio non saliva più sul Pacio – cercava anzi di non pensarci neppure alla barca – e solo in rarissime occasioni andava a bordo di altre barche. Le giornate libere le passava con Emanuela in campagna dove c’era ogni giorno qualcosa da fare. 

Arrivò dunque, dopo diversi anni, una altra apparentemente normale fra l’orto, l’asina con il suo asinello da accudire, i fiori, la svinatura. I tempi della terra, fuori dalla fretta, maledetta malattia di un secolo nevroticamente frenetico. Sembrava insomma una giornata come tante altre ma a sera improvvisamente cominciano a parlare – senza ragione – del Pacio e dei tempi del Pacio. Non lo hanno mai fatto finora, mai neppure accennato. Emanuela sapeva che quell’abbandono era per lui un dolore forte, realmente fisico mentre per Maurizio si trattava ormai di fatto di una porta chiusa. 

Questa sera invece le cose vanno diversamente. Finiti i lavori, seduti in penombra per riprendere fiato, cominciano a parlare del Pacio, con Michela che li aspetta a casa per la cena. Non la finiscono più, quasi una diga saltata di colpo dopo tutto quel tempo. Un ricordo si accavalla all’altro, in un vortice di memoria che sembra non finire mai, e non c’è fame né sete né Michela che aspetta a casa. Per la prima volta, dopo tanto tempo, parlano insieme per ore del Pacio.

Si è fatto buio da parecchio ormai. L’orologio segna quasi le undici e loro se ne accorgono stupiti. Non capita mai di fare così tardi, di perdere così completamente il senso del tempo. Di corsa chiudono tutto e salgono ognuno sulla sua auto, per tornare in città. 

Le strade sono deserte. A un certo punto, però, vedono lontano, davanti a loro, un camion che avanza pianissimo. Maurizio che è davanti con la Panda, si accoda e dietro di lui Emanuela. Trasporto strano, pensa lui. Il camion ha le luci d’emergenza accese e avanza lentissimo, ma Maurizio non supera il camion neppure quando potrebbe. A una curva, in un tratto illuminato della strada, vede che il camion sta trasportando una barca. Sente e poi vede che quella barca è il Pacio

Accende allora le quattro frecce, per segnalare a Emanuela che qualcosa sta succedendo. Lei, come peraltro d’abitudine, lo capisce al volo e si accodano lentamente entrambi. Il corteo procede lentissimo con le due auto che seguono la barca finché non imbocca l’autostrada. Poi fanno inversione e, sempre lentamente, tornano verso casa. Quando Maurizio apre la porta, Michela che li aspetta da ore, guarda la faccia del padre, gli butta le braccia al collo e comincia a piangere.

La racconto solo a te, mi disse Maurizio al telefono il giorno dopo, perché gli altri non ci crederebbero. Si era poi informato, venendo a sapere che la barca era stata nuovamente venduta e che proprio quella sera era stata trasferita al lago di Bolsena. Possibile, ci chiedemmo al telefono, che una barca decida di salutare in qualche modo il suo armatore, costringendolo a memorie e a appuntamenti imprevisti? Mah. Poi – visto che nonostante tutto siamo e restiamo dentro gente di mare  – ci siamo detti ma certo che sì, che domande.

La storia finirebbe qui – ne è passato di tempo – ma un piccolo post scriptum diventa opportuno, quanto meno per dovere di cronaca. Maurizio, qualche giorno fa, mi chiama e mi racconta che in giro per caso – per caso? sorrido chiedendoglielo – a Bolsena ha visto ormeggiato il Pacio. Sta benissimo, mi dice, e io so che è felice.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: