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Logbook 199 – 21 Agosto 1989. Dalle parti di Praga

Moriva ieri, più di venti anni fa, Václav Havel. Lo incontrai trent’anni fa. Il regime era appena crollato in Cecoslovacchia e lui era stato nominato presidente della neonata democrazia. Gli portai come ricordo la telecamera sfasciata pochi mesi prima dalla polizia, nella manifestazione che c’era stata quell’estate e che di fatto aveva segnato la fine del regime comunista.

Charta 77 aveva indetto quel giorno d’estate – anniversario della Primavera di Praga – una manifestazione a Piazza San Venceslao. Alle 5:00 del pomeriggio tutti si sarebbero dovuti fermare due minuti in silenzio per manifestare contro il regime che dava gli ultimi feroci colpi di coda.

Dalla mattina però la polizia faceva circolare l’enorme afflusso di praghesi che era evidente stavano aspettando con ansia le cinque. Ero con la telecamera perché mi aveva inviato Sandro Curzi che mi aveva voluto al Tg3 proprio quell’estate per una breve collaborazione (finita poi con una tranquilla separazione consensuale). Così andai anche in Albania a raccontare il confine controllato dagli albanesi (a quei tempi ancora vestiti come i cinesi di Mao), i fanghi rossi di Portoscuso o i primi tedeschi dell’est che passavano la frontiera ungherese.

Alle 4:30 di quel pomeriggio a Praga la piazza era già piena.  La gente era allegra ma decisa mentre la polizia faceva circolare chiunque tentasse di fermarsi o di sedersi su una delle tante panchine. I poliziotti erano molto tesi e si vedeva che erano in difficoltà a far rispettare gli ordini.

Un paio di minuti prima dell’ora stabilità la manifestazione sembrava ormai impossibile che riuscisse, quando improvvisamente, davanti alla gelateria italiana sulla piazza, si formò una fila smisurata di persone che aspettavano il gelato. Erano migliaia in fila silenziosi e immobili. I poliziotti non sapevano che fare perché non era proibito fare la fila in silenzio e immobili per aspettare un gelato, anche se curiosamente si era in qualche migliaio a sentire contemporaneamente il bisogno irrefrenabile di un gelato e quindi a fare una conseguente disciplinatissima fila.

Mi avvicinai per fare le riprese e dal viewfinder vedevo le persone sorridere perché la manifestazione di fatto era riuscita e avrebbe potuto essere – come di fatto è stata – l’ultimo chiodo alla bara scricchiolante dell’ex universo sovietico in quel Paese.

Mentre filmavo vidi cambiare all’improvviso l’espressione della gente e quasi contemporaneamente mi sentii preso alle spalle e fatto volare sull’asfalto. Due poliziotti mi avevano preso alle spalle e mi avevano lanciato  letteralmente per aria. Mentre cadevo uno di loro diede un calcio la telecamera per terra mentre io mi chiudevo con le braccia e le gambe per proteggere la testa e le parti anatomiche notoriamente più sensibili. 

Un primo calcio era già in arrivo quando i preghesi più vicini fecero un passo avanti facendo un cordone che di fatto mi protesse. A quel punto la polizia cominciò a menare all’impazzata ma la gente era troppa. Mentre mi rialzavo con la giacca di tela marrone a pezzi, notai anche molti giovani poliziotti che arretravano perplessi.

Quando tutto finì, presi un taxi per tornare in albergo. L’autista non volle essere pagato ma si preoccupò solo di sapere come stavo. La telecamera era spaccata in due ma la tenni per ricordo così quando ci fu l’occasione di una visita organizzata al castello di Praga dal Presidente Havel, insediato da poco, venni invitato anch’io e gliela portai come ricordo. 

Il giorno dopo, il Corriere della Sera in prima pagina pubblicava la mia foto mentre decollavo grazie al contributo di un poliziotto dall’aria feroce. La didascalia mi qualificava come un cittadino praghese picchiato mentre manifestava, cosa che confesso mi fece piacere. 

Era il 1989, un anno – come questo 2022 – determinante e indimenticabile.

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