L’umorismo è un fenomeno umano totalmente incomprensibile. Si ride di cervello – giustamente e magari leggendo un libro, cosa stupefacente sotto certi aspetto – ma c’è anche una risata che bypassa il cervello e arriva diretta dalla pancia. Il suddetto cervello segnala che la cosa non dovrebbe fare ridere eppure il resto del sistema nervoso se ne frega e si sganascia.
In tempi di tragiche comicità involontarie – anche su temi che grondano sangue – l’altra mattina in rassegna stampa mi sono tornati alla mente dei comici che sono il classico esempio di quel che volevo dire a proposito di umorismo. Sarà stata Napoli ma insomma mi sono tornati alla mente i Trettré. Era un trio di comici – Gino Cogliardo, Edoardo Romano e Mirko Setaro – che facevano ridere, anzi facevano ridere tantissimo.
Erano gli anni d’oro della tv, fra metà anni ‘80 e metà anni ‘90, e il loro palcoscenico nazionale era Drive In, grandissimo programma che di quei tempi televisivi era uno delle chiavi di volta. Era una comicità antica quella che i Trettré utilizzavano. C’era dentro la commedia dell’arte con il cosiddetto mamo ovvero quella figura di personaggio un po’ ingenuo che Peppino De Filippo rese inarrivabile e c’era il “caporale” alla Totò che forte di un presunto potere gestisce il suo ruolo di conseguenza.
Facevano ridere anche se non si capiva perchè come per tanti altri comici altrettanto geniali. Il loro cavallo di battaglia era una battuta conclusiva, definitiva e al tempo stesso estremamente democratica che calava secca come una lapide o un sipario sulla questione. Uno di loro tre dunque faceva una affermazione – peraltro ai tempi di oggi assolutamente normale – e gli altri due (dopo una sapiente pausa teatrale di quelle che Eduardo in teatro e Troisi al cinema resero immortali) se ne uscivano in coro con una frase che oggi dovrebbe essere posta a bandiera dei nostri tempi politici e non solo. Che poi sarebbe quella citata nel titolo che trovate qui sopra.
