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Logbook 272 – Qui Nuova York

Mentre continuo a leggere libri e giornali d’epoca per la diretta radiofonica del 25 Aprile, grazie a Andrea Cavalieri che sta ravanando fra i vecchi giornali di allora, mi ritrovo con uno dei primissimi numeri del Mercurio, la rivista di Alba de Cespedes. Mensile di politica, arte, scienze, dice la testata e si respira un’aria di intelligenza e di cultura che profumano di antico. 

Corrado Alvaro, Mario Berlinguer, Giacomo Debenedetti, Aldo Garosci, Guido Calogero, Vasco Pratolini, Natalia Ginzburg fra gli altri. Il poeta Corrado Govoni pubblica una poesia dedicata al figlio, capitano dei Granatieri, morto alle Fosse Ardeatine e poi Moravia, Bassani, Muscetta, Arrigo Benedetti e tanti altri ancora mentre i disegni sono di Guttuso, di Mafai, di Vespignani, di Scialoja. Un testo incredibile, realmente, dove la voglia di parlare, di pensare, di raccontare degli autori, dopo venti anni di regime finito in un fiume di sangue, è fortissima e evidente. Roba di quasi ottant’anni fa ma di una attualità sconcertante.

Leggendo, inciampo in un nome, l’unico (fra i moltissimi nomi) conosciuto personalmente e frequentato per qualche tempo e per il quale oggi ritrovo un grande affetto e tanta nostalgia. Ruggero Orlando è scomparso nel 1994 ma quelle mattine – fine anni ‘80? – con lui ai Tre Scalini, caffè alla mano, passate ascoltando la sua vita e le sue storie di giornalista che girava il mondo – e non certo come lo si gira oggi – non sono facilmente dimenticabili. Sul numero di Mercurio del 1944 che ho sotto gli occhi, a memoria freschissima, Ruggero Orlando racconta di Radio Londra e del gruppo di cui faceva parte lui stesso e che da quei microfoni operava, tenendo viva la speranza in Italia che il regime fascista potesse cadere. E’ un articolo da leggere tutto su questo numero di Mercurio, in cui tanto si parla anche di Roma e dell’Italia di quel tragico biennio 1943 – 1944.

Proprio Londra e Radio Londra furono occasione delle nostre mattinate al sole di Piazza Navona, a poca distanza da casa sua. Non so come ci fossimo conosciuti ma ricordo che gli proposi di realizzare una serie tv di sette città raccontate da lui. La Londra di Radio Londra, appunto, ma anche la Parigi in cui era entrato primo giornalista – così diceva e è assolutamente credibile – fra tutti gli altri, insieme alle truppe alleate. C’era la sua Roma barocca tanto amata e la New York, anzi la Nuova York che aveva reso popolare la sua immagine in una tv in bianco e nero con inquadrature fisse e pochissimi movimenti di camera ma che aveva più intelligenza in un suo minuto secondo di dieci ore del teatrino con i suoi patetici pupazzi dei talk show di oggi.

Ruggero si inventava la tv. Raccontava il colosso americano in un paese come l’Italia in cui si faticava a capire l’italiano e lo raccontava senza spocchia, senza i servilismi di corte di certe corrispondenze in ginocchio. Fa piacere ritrovarlo per caso e ritrovare il sapore di quei caffè romani. Ovviamente del programma televisivo, nonostante il nostro reciproco impegno per farlo nascere, non si fece nulla per problemi di produzione e di palinsesto. Figurati.

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