Logbook 296 – Istituzioni

Mattinata istituzionale con la visita di Sergio Mattarella a San Marino. Staff del Quirinale al completo, gli Eccellentissimi Capitani Reggenti con il collare della Reggenza e tutto quello che comporta una visita ufficiale importante.

I rapporti fra i due Paesi si riavvicinano dopo anni non facili e il Presidente italiano dice cose importanti che parlano di responsabilità reciproche. É solido e presente, a testimonianza che  mettere mano a una figura costituzionale come quella del Quirinale é operazione che necessita intelligenza e non emotive decisioni.

Mi cambio al volo al Testaclà e parto per Roma. Viaggio tranquillo per ritrovare la Rimandi San Saba che é un piccolo insolito paese dove la qualità della vita é ancora possibile. Una pizza con Sergio a due passi da Porta San Paolo e poi a dormire,ripensando a quel che diceva la Reggenza e il Quirinale. Tempi da non sottovalutare, nessun dubbio

Logbook 295 – Il conto torna

Il biglietto deve essere fra il 1995 e il 1997, vista la carta intestata della Rai di Aosta. Il mio vecchio maledetto vizio di non datare le lettere é una costante impossibile da correggere ma comunque senza dubbio il periodo é quello, insieme alla pessima calligrafia così diversa dalla sua perfetta corsiva. Il biglietto originale me lo aveva mostrato qualche tempo fa Andreina che lo aveva ritrovato nel ricchissimo fondo archivistico di Andrea, miniera di memoria, letteratura e genio personale a due passi da casa.

Il biglietto lo avevo fotografato quel giorno. Ieri, cercando la foto della maledetta licenza di navigazione che ero convinto di avere da qualche parte nel cellulare e che devo mandare agli amici di Albatros per le solite insopportabili pratiche burocratiche, mi risalta fuori questo cartoncino e la cosa un po’ mi commuove. Era tanto tempo fa – quasi trent’anni – e il commissario non era ancora il commissario. Il successo sarebbe arrivato poco dopo perché esplose, mi pare, nel 1998 con quella concessione del telefono che rapidamente divenne un fenomeno letterario e si trascinò appresso tutti i suoi libri.

In realtà i primi Montalbano avevano avuto comunque un certo successo, sia pure in una cerchia di pubblico ristretta se non proprio di nicchia. Elvira Sellerio era comunque soddisfatta anche se neppure lei poteva immaginare cosa sarebbe accaduto solo pochi anni dopo. Noi due, lei e molto più modestamente il sottoscritto,  eravamo quelli che non perdevano mai l’occasione di rompergli i sappiamo cosa su quel commissario che lui un po’ pativa e che per noi doveva continuare a esistere. Pochi anni dopo dunque e furono dieci suoi titoli tutti diversi, i primi dieci nella classifica di vendite, un fenomeno editorialmente assurdo, dovuto al passaparola dei lettori – le terze pagine non lo amavano a quei tempi, peraltro cordialmente ricambiate – fino al geniale senonvipiaceviridoisoldiio di Maurizio al Parioli. E partì il tornado.

Ai tempi di quel biglietto, Montalbano era il figlio che certamente amava ma che snobbava in fondo forse un po’. Sarà che gli veniva troppo facile scriverli – pensa te – o che sentiva il richiamo del grande romanzo storico con cui confrontarsi. Sia come sia, ricordo di quei tempi la sua preoccupazione e e il suo affetto per quel giovane amico che entrava nell’azienda da cui lui era uscito – e che conosceva bene – partendo per terre assai lontane, diametralmente opposte a Vigàta e a due passi dal Paradiso. 

La vita per lui era qualcosa che serviva per scrivere e scrivere serviva per vivere così il nodo lui lo chiudeva perfettamente. Non credo che questi tempi in cui ci troviamo oggi, siano però tempi in cui avrebbe voluto vivere. Se ne é andato prima e forse é giusto così, se di giustizia si può parlare in questi casi. “Il conto torna” mi disse e ci disse, senza vedere la telecamera, l’ultima volta che ci parlammo. Non molto dopo ci rivedemmo al Cimitero degli Inglesi, in tanti e in una giornata triste ma serena. Il conto forse torna sempre e così, ancora una volta, avrebbe ragione lui.

Logbook 294 – Gente così

Luca é uno dei pochissimi produttori televisivi che, oltre a una solida e antica professionalità, abbia anche una altrettanto solida coscienza. Ha sempre puntato sulle produzioni televisive di qualità il che già di per sé comporta una certa solitudine. C’è però un però e il però si chiama cibo. Di qualità e di quantità. Una volta e per capirsi, mi ha trascinato per ore nella notte delle Langhe per trovare una piccola trattoria che doveva assolutamente provare. Ovviamente guidavo io perché lui altrettanto ovviamente non ha la patente. In più vive a Bologna, il che dal punto di vista gastronomico é una aggravante della pena.

Pepino invece é bolognese doc e si occupa di alberghi da quando aveva quattordici anni e faceva il portiere di notte nel piccolo albergo di famiglia. Poi é andato avanti gestendo alberghi, costruendoli, formando personale e tutto quello che c’è dietro il complesso mondo alberghiero. Due amici che piacerebbero a Pupi Avati insomma.

Una sera di più di vent’anni fa, a Ferrara una nebbiosa sera d’inverno parlava Fernanda Pivano e parlava di beat generation. Erano anni che non ci vedevamo. L’ultima volta era stata nel residence di Trastevere, a due passi dalla Corsiniana, una lunga mattina di chiacchiere e affetto. Proposi a Luca e a Pepino di andare insieme a sentirla. Il secondo era interessato alla serata mentre il primo era interessato alla serata e alla salama da sugo, ordigno fino a quel momento a me fortunatamente sconosciuto, vista la complessità digestiva che inevitabilmente comporta.

Arrivammo dunque quella sera a Ferrara, dopo un viaggio dove non si vedeva nulla. Nebbia ovunque, fin quasi dentro la porta del locale dove Luca aveva prenotato. La scelta lo aveva coinvolto febbrilmente per un paio di giorni ma alla fine si dichiarava sicuro. Arrivammo e  subito gli antipasti diedero un primo colpo a Pepino e al sottoscritto mentre Luca aveva messo la ridotta e era partito. Poi il primo che noi due passammo, sotto gli occhi stupiti di Luca che non ricordo più cosa prese. Poi arrivo la famosa salama, una bestia gigantesca che Luca si fini quasi da solo, nonostante Pepino e io facemmo la nostra sicuramente piccola ma sostanziosa parte. Non potemmo sfuggire alla zuppa inglese perché altrimenti si sarebbe offeso mortalmente. Uscimmo barcollando.

L’aria fredda aiutò ma fino a un certo punto. Anche Luca sembrava un po’ provato e questo sulle prime ci confortó molto. Arrivammo appena in tempo per salutare Fernanda che stava per cominciare a parlare. Ascoltavamo tutti con attenzione la storia della beat generation , raccontata di prima mano, ma dopo la prima mezzora Luca cominció a dare segni di insofferenza. Si agitava sulla sedia che peraltro lo conteneva per un terzo, viste le dimensioni legate al suo interesse primario. Pepino e io cominciammo a guardarci preoccupati. Luca aveva veramente esagerato a tavola e la cosa poteva non essere senza conseguenza.

Quando Fernanda fini, Luca schizzó fuori dalla sala mentre noi ci facemmo largo per salutarla. Dopo qualche minuto uscimmo anche noi alla ricerca del sofferente, sempre più preoccupati perché la sua uscita era stata veramente troppo rapida. Girammo fra la nebbia finché non lo vedemmo uscire da dietro un angolo con in mano una crepes. Aveva l’aria felice. “Come fanno qui a Ferrara la crepes alla Nutella, non ce n’è per nessuno. Un classico” e sorrise felice continuando a masticare. Roba da Pupi Avati, appunto.

Logbook 293 – Ridere

Abbiamo bisogno di ridere. Sempre, ma soprattutto in momenti in cui la paura e l’ansia sono presenze oggettive e non soggettive come di questi tempi. David Riondino e Dario Vergassola che raccontano Madame Bovary sono quindi un evento che dovrebbe passare la mutua. Il gioco é antico per le assi del palcoscenico ma lo reinventano magistralmente loro due. Il colto raffinato e il rozzo di buon senso si confrontano sui capolavori che fondano la cultura occidentale. Il resto é ridere ma con il cervello inserito.

Uno da Roma, l’altro da Spezia, tornano da queste parti e nonostante l’ora insolita – domenica alle tre del pomeriggio – il teatro è pieno e la gente si diverte per quasi due ore. La povera Emma ne esce a pezzi ma peggio ancora i suoi uomini, dal marito che aquila non é al giovane Rodolphe che Dario qualifica – semplificando relativamente – come il Merda. É l’Ottocento con le sue tragedie e le sue eroine nevrotiche perché la nevrosi rischia di essere l’unica forma di libertà consentita e poi appunto i suoi personaggi maschili che Maupassant ha descritto e vissuto. Tutto compone il quadro del romanzo ottocentesco, nonno dei serial TV che oggi fanno discutere come una novità e sono in realtà acqua riscaldata.

Rivedo Dario e David con piacere e con affetto, dopo lo spettacolo che funziona sempre anche se lo conosci. Mistero della risata vera che ti fa ridere sempre anche se conosci a memoria la battuta che arriva, cinema o teatro o vita che sia. Insieme fanno una coppia straordinaria che in teatro prende l’anima degli spettatori e li fa ridere alle lagrime. Il regalo più grande che si possa fare a un collega di specie, soprattutto se la specie é quella umana. Per un ipocondriaco come Dario poi l’idea di curare ridendo non deve essere priva di fascino.