Logbook 251 – San Benaltro

Così Xi è andato a Mosca e noi qui a chiederci come può finire questa tragica partita iniziata nel febbraio scorso quando Putin era convinto che in due giorni avrebbe archiviato l’Ucraina come aveva fatto con la Cecenia e la Georgia con le armi e la Bielorussia con elezioni taroccate, sotto gli occhi distratti dell’Occidente.

Trattative? Perché poi il problema è tutto lì. Come fai a fidarti di chi per principio e per impostazione mente e modifica la verità? Non ci si siede al tavolo da gioco con i bari, è una cosa che ho sentito dire decine di volte da Marco e non lo diceva solo per questioni di principio ma forse soprattutto per l’inutilità nel migliore, la pericolosità nel peggiore, di avere a che fare con chi mente anche quando dice la verità.

Il fatto è che la scuola in cui si è formato Putin, in cui è cresciuto, che gli ha dato il potere e glielo ha fatto conservare si chiama KGB. Corruzione, ricatti, soldi sporchi, carcere, sangue eccetera sono i pilastri da cui da oltre cinquant’anni il KGB ha fondato il suo potere, facendosi partito all’inizio degli anni ‘90, dopo che i russi alla caduta del muro avevano attaccato le sue sedi, le uniche attaccate dalla popolazione post caduta dell’Unione Sovietica e satelliti.

Certo c’è sempre San Benaltro, il grande santo protettore di politici e giornalisti in difficoltà. Ma come? E allora, l’Iraq? E allora la Nato che vuole mangiarsi Stati ex sovietici che peraltro alla sola idea di tornare sotto Mosca, avendo già abbondantemente dato, sono letteralmente terrorizzati?

A proposito di metodi KGB è scivolata – almeno apparentemente – senza grandi conseguenze la notizia che l’ambasciata russa a Roma ha un traffico di centinaia di migliaia di euro cash, contanti per capirci. Il Corriere della Sera ha rivelato che l’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia nel 2022 si è messa in allerta per alcune movimentazioni avvenute sui tre conti correnti dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia.

Le segnalazioni all’Antiriciclaggio sono iniziate nel primo semestre del 2022, aumentando poi nella seconda metà dell’anno. Dal dossier dell’UIF risultano infatti alcuni movimenti di denaro anomali avvenuti sui tre conti dell’Ambasciata russa e le richieste di denaro contante ammontano a ben oltre un milione di euro.

Contanti? Un milione? In Italia? A che serviranno mai, ci chiediamo noi che siamo persone semplici e sprovvedute? Contanti?Contanti! Magari in biglietti di piccolo taglio che ingombrano di più però vuoi mettere la tradizione. E magistratura? Guardia di Finanza? Governo? Opposizioni? Tutti a guardare altrove, appellandosi a San Benaltro. Così ancora una volta il buon santo interviene distrae spiega sposta devia confonde, gridando forte che il vero problema è sempre altrove.

Ps. Sarebbe comunque divertente, quando cadrà il regime del KGB a Mosca, dare una occhiata gli archivi del colonnello Razov. Magari si capirebbero tante cose. Centinaia di milioni in contanti. Pensa te.

Logbook 250 – Tempo che i sogni umani

Torino è città che, se ci vivi anche solo un po’, ti resta dentro. Dalla cima del grattacielo Rai mano a mano che via Cernaia scompariva nel basso con i suoi rumori di traffico, apparivano prima la stazione di Porta Susa poi il Sestriere che chiudeva l’orizzonte. Lasciavi quegli anni e quell’ufficio bellissimo (forse il più bello mai avuto e sono stati tanti) più di dieci anni fa e la Rai poco dopo lasciò il grattacielo, ormai diventato troppo grande e troppo segnato dall’amianto.

Parti da Aosta sul presto, entri a Torino, passi da Piazza Statuto con relativa porta infera e lasci la macchina davanti all’Auditorium poi a piedi fino a Via Po, caffè da Fiorio con Eddy Ottoz che al cellulare ti cazzia perchè da Fiorio si deve prendere lo zabaglione migliore del mondo ma alla fine della telefonata sembra perdonarti l’omesso dovere. Esci e vai a sederti ai piedi di Carlo Alberto e compagnia (trattandosi di monumento piuttosto affollato). Aspetti seduto al sole, chiedendoti se sia casuale che il cavallo mostri le terga alla Biblioteca Nazionale, in attesa che arrivi Sergio Rovasio. Arriva con un amico giornalista e insieme si gira l’angolo per arrivare alla Luxemburg, dove parecchia gente è già lì per la presentazione del libro .

Molti di loro scopro che sono qui perchè ascoltano la rassegna stampa, altri sono amici che in qualche modo hanno saputo dell’appuntamento.  Il maledetto piccolo tavolo di RR – quello presumibilmente costruito con il legno dell’albero mangiaquiloni di Charlie Brown – è ormai sorprendentemente popolarissimo perchè lo citano in parecchi. Tonino che è l’anima della libreria dà il via e partiamo. Sergio non parla volentieri in pubblico anche se lo fa bene e poi parlo io. 

Fuori intanto il sole e la gente e tanta memoria. Proprio di fronte alla Luxemburg comprai una vita fa il mio coltello da barca, fedele e talvolta perplesso compagno di navigazione, alla storica coltelleria De Carlo mentre al Carignano invece organizzammo con Tiziana Nasi e Enzo Cucco uno spettacolo dedicato alla comunicazione sociale. E ancora i giorni delle Olimpiadi e le Paralimpiadi nel 2006 – soprattutto queste ultime che furono una feroce battaglia a Viale Mazzini dove in molti ai piani alti non ci credevano – oppure il Caval de Bronz, ormai quasi familiare testimone per un certo periodo, e Hermes a due passi, l’unico Hermes al mondo dove le classiche famosissime buste arancioni possono essere bianche perchè Torino non ama esibire. Con Paolo e Annalisa poi si va a pranzare da Mauro, a due passi da Via Verdi, dove il menu viene scritto da una vita ogni giorno rigorosamente a macchina (senza alcun dubbio Olivetti). Torino, anche qui. 

Recupero l’auto e riparto nel traffico, cercando di non perdere l’entrata autostradale per Milano mentre il navigatore cerca di dirottarmi su Piacenza. Ormai comunque si avvicina il momento in cui da Palazzo Madama al Valentino ardono l’Alpi fra le nubi accese… è questa l’ora antica torinese, è questa l’ora vera di Torino, città intimamente gozzanianamente crepuscolare (con i forse discutibili corsivi ma rigorosamente autorali).

La presentazione è disponibile sul sito di Radio Radicale: https://www.radioradicale.it/scheda/692253/presentazione-del-libro-di-carlo-romeo-burrasche

“Burrasche” e ricordi valdostani

Torno alla Sede Rai di Aosta. È stata la mia prima direzione Rai e – come i primi comandi dei giovani ufficiali – non si dimentica mai.

A quei tempi peraltro ero il più giovane direttore di sede in Rai e anche questo non era marginale.

Presentiamo infatti “Burrasche” nell’edizione delle 14.00 del telegiornale. Incontro con piacere reciproco facce amichevoli che non vedevo da trenta anni e scopro che in fondo il vecchio Rapagnetta, una volta tanto, aveva ragione quando sosteneva che comunque nella vita di tutti, alla fin fine, si ha quel che si è dato. 

Ecco l’intervista.

Ecco la presentazione del libro alla libreria Briviodue di Aosta.

Logbook 249 – Dove i libri ci osservano

Le librerie ovviamente soffrono per la rivoluzione commerciale che ha stravolto, anche in questo settore, abitudini che sembravano consolidate. Soffrono ma paradossalmente tengono bene, fronteggiando sulla qualità e sull’attenzione al lettore concorrenze anonime e a volte inquietanti. Una visita in libreria – quando non si soffre di una sorta di fobia da eccesso di titoli – è uno dei piaceri della vita. Due chiacchiere con il libraio – ne abbiamo già parlato peraltro – e magari si inciampa in qualche sorpresa che ti mette a posto una giornata uggiosa come quella di Battisti anzi di Mogol, anzi di tutti e due.

Le librerie con i loro santuari, le biblioteche, restano centrali come momento di intelligenza e di ricerca, di piacere e di curiosità. Per libri – è bene precisare forse – qui si intendono quelli veri cioè quelli che si confrontano con il tempo e che hanno come caratteristica non le copie vendute, non i temi trattati, nè le recensioni più o meno cerebrali ma solo e esclusivamente la buona scrittura che necessariamente comporta una buona lettura. 

Le biblioteche meritano un discorso a parte che non è il caso di fare qui ma tanto per capirsi una volta – ero con una persona che nelle biblioteche di tutto il mondo ha trascorso una vita – abbiamo visto un bambino entrare in Angelica. Saranno gli Agostiniani, sarà il Vanvitelli e gli altissimi secolari scaffali di libri, sarà l’atmosfera che ha quella sala ma quel bambino, entrando con la mamma, si fece il segno di croce e a noi due venne contemporaneamente da sorridere. In fondo in molti probabilmente a avere il sospetto che i libri – siano essi nelle librerie, siano invece nelle biblioteche – ci guardino, ci osservino e non raramente ci giudichino.

Le vere librerie hanno dunque un’anima e la Luxemburg è fra queste, tanto che il Clarin, uno dei più prestigiosi giornali argentini, la ha inserita fra le dieci librerie più belle del pianeta. La sua storia risale al 1872. Affacciata su Piazza Carignano, dalle sue vetrine si  può intravedere il tavolo regolarmente apparecchiato al Cambio dove pranzava il Conte di Cavour, a tutt’oggi ancora riservato a lui perché con uno come lui hai visto mai. 

Alla Luxemburg andavo a trovare i libri e un po’ Angelo Pezzana, uno dei migliori peggiori caratteri che abbia mai incontrato e ne ho incontrati una marea, ma anche una persona di un cuore e di una generosità che risultano rari. Quando avevo l’ufficio a Torino, all’ultimo piano del grattacielo Rai di Via Cernaia, non era raro che quando la situazione stava per comportare un omicidio aziendale interregionale (spesso il target era su Viale Mazzini) prendessi le scale – l’ascensore di via Cernaia era spesso una affascinante ipotesi – e me ne andassi a frugare fra i libri della Luxemburg per poi mangiare un panino al volo al Fiorio. “Che dicono al Fiorio?” chiedeva Carlo Alberto ossessionato dai sondaggi e dalle opinioni anche lui, buon’anima. Alla fine rientravo,  rinnovato nell’anima e nelle intenzioni, pronto a quasi venti piani di ascesa in vetta, dove arrivavo pressoché collassato, preoccupando non poco la vigile signora Viviani.

Così, sabato alla Luxemburg ci sarà “Burrasche” e la cosa a me fa piacere – e molto – così come mi fa piacere domani da Brivio, storica libreria valdostana a Piazza Chanoux – la piazza di Aosta – presentarlo agli amici che ci saranno. Torno a vedere dopo tanto tempo la Valle che in fondo è parte di me (e dove ho passato anni duri e bellissimi, irresponsabilmente il più giovane dei direttori di sede Rai di quegli anni). Ne sono passati trenta e Vladimir Majakovskij ricorda piano “ma la terra in cui hai sofferto il freddo, mai più potrai cessare di amarla”.

Logbook 248 – E Bruto è uomo d’onore

E così, dove oggi c’è un pino non molto in salute, quasi di fronte al Teatro Argentina, il 15 marzo del 44 a.C. si chiudeva una storia e se ne apriva un’altra. Date a Cesare quel che è di Cesare, avrebbe avuto altro senso qualche decennio dopo ma in quel momento volle dire semplicemente ventitré pugnalate.Giorno particolare quel 15 marzo  che con l’abito buono viene chiamato le Idi di Marzo, resta segnato da questo omicidio che segna poi tutto il resto. 

Parlarne oggi ha senso? Forse sì. forse più che mai. La figura di Cesare sfuma in ombra ma resta il conflitto politico feroce e spietato. Restano guerre diverse dal De bello gallico, dove si combatte con la propaganda, con i soldi delle ambasciate rigorosamente in contanti, con le migrazioni pilotate, con le carceri piene e i tribunali corrotti o pavidi.  Certo è roba che già c’era anche questa, nulla di nuovo ma fa specie ritrovare tutto come se non fossero passati ventuno secoli e non serve dire che magari al pugnale oggi si è affiancato il polonio perchè di veleni ce n’erano a iosa anche allora.

Luca Canali (che certamente di destra non era) racconta di Cesare e non è il solo. Lo descrive come uomo di potere, grande comandante di legioni, politico deciso, debitore impegnativo per i suoi creditori.

Ma Giulio Cesare è anche la assurda voce nasale di Marlon Brando che rigira magistralmente una frittata ormai apparentemente andata, con la regia di Shakespeare – grandissimo fra i grandissimi conoscitori di uomini – che ci mostra la folla in tutto il suo splendore di mostro. 

Demagogia certo, finzione teatrale certo, però quella folla che in pochi attimi passa – per pancia e non per testa – da una posizione che poi è quella di Bruto e dei congiurati a quella esattamente opposta, raramente è stata raccontata così bene. Roba vecchia le idi di Marzo, vero?