Home

  • Burrasche. Diario di bordo 2022

    𝐁𝐮𝐫𝐫𝐚𝐬𝐜𝐡𝐞. 𝐃𝐢𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐛𝐨𝐫𝐝𝐨 𝟐𝟎𝟐𝟐 è disponibile nelle librerie e negli store online.

    “Il 2022 merita un diario come quello di Carlo Romeo. È un anno apparentemente di passaggio, quello da una pandemia a una guerra, ma così decisivo che rimarrà sicuramente nella storia di questo secolo.” Paolo Mieli

    In queste pagine, le onde del mare si accavallano a quelle dei giornali quotidiani in un intreccio tra presente e passato.

    Scopri di più sul sito di Edizioni Efesto: https://www.edizioniefesto.it/collane/theoretika/594-burrasche-diario-di-bordo-2022

    Disponibile anche su Amazon: https://amzn.eu/d/4inNys0

  • Logbook 296 – Il cavaliere oscuro

    E così il 2 giugno l’Ambasciatore italiano a San Marino Sergio Mercuri ha consegnato al sottoscritto onorificenza e diploma firmato da Sergio Mattarella che lo qualificano Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica. La cosa non è che sia epocale o che cambi di un milionesimo il corso della Storia, però – almeno a me – fa piacere comunque e fa piacere per un paio di ragioni.

    La prima è stata la sorpresa. Non me lo aspettavo perchè sono stato educato fin da bambino in famiglia che gli onori sollecitati dai beneficiati valgono un po’ meno di quelli che arrivano da altri spontaneamente. Non me lo aspettavo insomma anche perchè i miei coetanei sono ormai già tutti Commendatori e Grandi Ufficiali quindi io arrivo un po’ tardi però arrivo. Il fatto poi è che la motivazione è un bilancio di una vita e fa appunto piacere che il tuo Paese riconosca in qualche modo quel che hai fatto in cinquant’anni di lavoro nei media pubblici e privati.

    Altro aspetto è la presenza e l’affetto di molti amici che hanno partecipato alla cerimonia che si è svolta prima dell’apertura del ricevimento nel bellissimo giardino dell’Ambasciata. È stato un momento condiviso – e in qualche parte emotivamente coinvolgente – perchè ti vengono in mente tante storie, tante situazioni, che hanno costruito una storia non sempre riconosciuta sul momento. I giornalisti delle tv private non venivano riconosciuti dall’Ordine e condannati a un precariato addirittura ventennale, come è capitato a chi scrive. Sandro Piccinini racconta sorridendo – oggi, non allora – di quando doveva fare le sue telecronache dalle terrazze che davano sullo stadio o addirittura arrampicato su un albero perchè le testate delle tv e delle radio locali non avevano l’accesso negli stadi in tribuna stampa. “Il mucchio selvaggio”, un bel libro firmato proprio da Sandro e da Giancarlo Dotto, quei tempi li ricorda bene.

    Vengono in mente però anche i momenti in cui si agiva su richiesta e in sintonia con i Ministeri competenti e allora era la Bosnia, il Darfur, il Libano, l’Afghanistan, il Burkina, la Mauritania, lavorando a stretto contatto con soldati e diplomatici italiani, come advisor più spesso e qualche altra volta come giornalista. Insomma sono tanti i momenti che fanno da bilancio e non a caso, quando l’Ambasciatore Mercuri mi ha chiesto di dire due parole, mi è sembrato giusto far notare come è un peccato che le regole del gioco della vita le capisci troppo tardi – prima cosa – e – seconda cosa – non puoi insegnarle ai giovani perchè funzionano solo se le impari direttamente sulla tua pelle.

    Così, che il tuo Paese, che una persona come il Presidente Mattarella, ti dicano in sintesi e in concreto che comunque hai fatto un buon lavoro nel corso della tua vita (perchè l’Ordine al Merito della Repubblica, la più alta onorificenza italiana, questo rappresenta) ha un suo peso, piccolo o grande che sia. Ovviamente pulvis et umbra sempre e comunque ma nel frattempo, giusto godersi per quanto possibile quel che ogni giorno può arrivare.

  • Logbook 295 – Retrobotteghe Oscure

    Rileggo la biografia di Pietro Secchia che Miriam Mafai pubblicò nel 1984. Scritto benissimo da una autrice che le fonti le conosceva bene e che sapeva quel che si poteva dire e quello che era meglio non dire. Viene fuori un Pci e diverse generazioni di comunisti per i quali la Mosca di allora, Giuseppe Stalin compreso, era punto di riferimento esistenziale.

    Il titolo richiama a un uomo che sognava la lotta armata o forse meglio la rivoluzione, una rivoluzione impossibile dopo il 1944 perchè a Yalta il mondo occidentale era già stato spartito fra le grandi potenze. L’Italia era in ginocchio, la Resistenza divisa e contesa, forse soggetta a episodi inenarrabili come sarebbe stata la guerra civile locale che insanguinò alcune zone del Paese nell’immediato dopoguerra.

    Secchia è l’eterno numero due. Non a caso il suo soprannome ufficiale è Botte, che i suoi compagni derivavano da Bottecchia, l’eterno secondo del ciclismo italiano. Togliatti era sempre avanti di un passo o due rispetto a lui e agli altri. A guerra finita, guerra che Togliatti aveva trascorso a Mosca mentre Secchia, Longo e gli altri rischiavano la pelle, Togliatti fu il garante di Stalin che l’Italia si sarebbe adeguata all’accordo e che quindi eventuali insurrezioni – il sogno di Secchia e non solo suo – erano da scoraggiare in tutti i modi. 

    La storia finì malissimo. Il braccio destro di Secchia, Giulio Seniga, sparì con una montagna di soldi del partito e una serie di documenti molto importanti. Lo scandalo distrusse Pietro Secchia, catapultandolo dal banco degli accusatori – che aveva assiduamente e ferocemente frequentato – a quello degli accusati con un linciaggio che non escluse neppure la vita intima. 

    Il Pci era questo, era anche questo. Qualche giorno fa qualcuno ricordava una altra  storia emblematica. Come noto le sedute parlamentari sono pubbliche da sempre. Nel 1976 quando Marco entrò in Parlamento con Mellini, Adele e Emma, una delle prime cose che fece fu di collegare a Radio Radicale la Radio Aula che serviva negli uffici ai deputati per seguire il dibattito in corso. 

    I primi collegamenti furono molto precari ma nel tempo migliorarono e anche il segnale divenne più forte fino a coprire tutta Italia. Divenne presidente della Camera Nilde Iotti, oggi beatificata dimenticando forse alcuni aspetti non marginali della persona come l’episodio che segue. La Iotti si inventò infatti un marchingegno che dalla presidenza, quando parlavano in aula i radicali, isolava il microfono impedendone la trasmissione via radio, in modo che si potessero sentire tutti gli interventi tranne quelli radicali. 

    Erano i tempi dell’ostruzionismo in cui impediva ai parlamentari di bere un cappuccino o di leggere appunti, anche se gli interventi duravano fino a diciotto ore, come quello record di Marco Boato. Il giochetto del pulsante durò finchè Marco Pannella se ne accorse e armò un tale casino che la Iotti dovette fare una poco dignitosissima marcia indietro. 

    Piccole cose, certo. Veramente piccole ma che denotavano una mentalità, una cultura. Si potrebbe magari parlare anche di come venne trattato dal Pci il figlio disabile di Togliatti o quella di Ennio Flaiano, anche lei disabile, ma quella è ancora un’altra storia e non di quelle belle quindi meglio chiuderla qui.

  • Logbook 294 – Manuela

    Era il 1987 e Manuela aveva vent’anni. Ci colpì subito – sia a Sandro che a me – durante il casting, la sua carica di allegria e la sua naturalezza davanti alla telecamera. Eravamo giovani noi due ma ce la tiravamo già da vecchi e navigati televisivi mentre mettevamo su dal nulla una avventura come un tg diverso da tutti gli altri. Avevamo già trovato due redattori giovanissimi, Davide Coletta e Fabio Caressa, diciottenni o poco più, che si vedeva subito avevano stoffa e voglia di fare. 

    Anche i due conduttori del Tg che sarebbe nato di lì a poco li avevamo già scelti. Uno era Mauro che usciva dal Secolo d’Italia (bravissimo perchè la scuola del quotidiano missino, giornalisticamente parlando, era buona) e Paola, giovanissima anche lei. Sandro e io che gestivamo il TG completavamo il quadro. In sintesi quattro gatti ma tosti. Non avevamo immagini, non avevamo notizie se non il Televideo, non avevamo nulla, cosi ci inventammo il conduttore con due commentatori ai lati, Sandro per il calcio e chi scrive per tutto l’universo creato, come lo chiamava Andrea Camilleri. Erano i primi passi e Manuela c’era, alla grande e a tutto campo.

    Quello che era già evidente in lei era la sua incredibile capacità di saltare dalla cronaca allo sport alla politica alla conduzione, senza la minima difficoltà e garantendo sempre il massimo. A questo si aggiungeva anche una enorme voglia di imparare, di fare, sempre con un suo senso dell’umorismo travolgente. Riusciva a fare ridere in un attimo persino me, cosa che a quei tempi non era facile.

    E così, insomma, sono contento che oggi lei finalmente veda riconosciuto in qualche modo dalla sua azienda quello che merita. Non soltanto come professionista ma come la donna che é, intelligente, innamorata della vita e del suo mestiere, capace di sorridere sempre e comunque anche nei momenti più difficili. Quella Teleroma 56 nel frattempo non esiste più ma è diventata “storica”, aggettivo consueto e allora inimmaginabile quando viene citata.

    Poi Sandro si fermò a Mediaset e divenne il telecronista e il conduttore che cambiava il modo di farlo, senza però lasciarsi mai travolgere dal gorgo pericoloso della tv. Il suo “Controcampo” resta magistrale nell’offerta televisiva italiana. Mauro Mazza andò in Rai mentre Paola Rivetta andò al TG5, Anche Manuela andò via e arrivarono Ada Pagliarulo, Antonello De Fortuna, Gaia Tortora, Sergio Gamberale, Paolo Stella, Andreina Camilleri, Francesca Loquenzi e tanti altri mentre Giancarlo Dotto, Massimo Caviglia e Stefano Disegni e ancora altri diventavano commentatori per noi. Scoprimmo per caso che Daniele Formica era  uno dei massimi esperti di F1 in Italia e gli proponemmo di commentare ogni lunedì il Gran Premio (ovviamente gratis perchè di risorse non ce n’erano) e lui accettò con entusiasmo, felice di poter parlare della cosa che lo appassionava di più da sempre. 

    Bei tempi e così oggi, se incrocio Manuela Moreno in video, mi dico che è proprio brava, che eravamo tutti proprio bravi, anche se non ce ne rendevamo conto per niente. Non è storicamente e geneticamente specialità della Rai valorizzare le sue migliori risorse interne – potrei facilmente tenere una conferenza di un’ora su questo – ma spero proprio per tutti (e soprattutto per il pubblico) che, una volta tanto, Manuela continui a rappresentare una eccezione.

  • Logbook 293 – Quando il pane è cattivo

    In estrema sintesi il 40% degli aventi diritto non è andato a votare. A ciò si dovrebbero aggiungere per correttezza schede bianche e nulle per avere un quadro politico corretto. Ovviamente sia i partiti – tutti i partiti – sia i media – quasi tutti i media – glissano sull’argomento, accreditando percentuali false e falsate. Se infatti si dice che un candidato ha preso il 51% dei voti e non si chiarisce che è sul 60% degli aventi diritto, sarebbe opportuno definire la cosa una sorta di truffa, visto che il 51% del 60% fa poco oltre il 30% degli aventi diritto. Ne consegue che il 70% non si è sentito rappresentato da quel candidato.

    E qui scatta la solita lagna, come la definirebbe Giuliano Ferrara, del “problemi loro”, del “gli assenti hanno sempre torto” e via di seguito. Ma quando le percentuali sono di questo genere, in realtà la democrazia rappresentativa stessa è già saltata per aria e gli eletti rappresentano solo chi li ha candidati. In realtà l’allontanamento dalle urne comincia a configurarsi come un vero e proprio “sciopero del voto”, come lo definì negli anni ‘80 Marco Pannella, che ne fece una controcampagna elettorale perchè proprio di sciopero si tratta. È evidente che nei palazzi e nei salotti di potere, l’astensionismo è un dato che non preoccupa ma alla fin fine fa comodo perchè la linea è quella del “meno siamo meglio stiamo”. Linea furba ma non intelligente – caratteristica peraltro della attuale politica italiana – che, come tutte le furbate, farà alla lunga parecchi danni.

    Non c’è alcun dubbio che il voto e il suffragio universale siano stati rivoluzionari e che rappresentino il pilastro della democrazia. Ma sono decenni che gli elettori in Italia non scelgono chi li rappresenta, nonostante questo non sia costituzionale. Anche questo è causa non marginale del non voto insieme a altri vari fattori di fatto antidemocratici. Certo, il voto è come il pane, necessario per vivere. Ma se la metà dei clienti del forno non compra più il pane da lui, il fornaio siamo proprio sicuri che non si debba fare qualche domanda?

  • Logbook 292 – Quando le foto erano foto

    Dino’s Dark Room. Il titolo è bello per la storia raccontata da Corrado Rizza con un docufilm che sarà a Roma dall’inizio di giugno. Il Dino del titolo è Dino Pedriali, un fotografo geniale e discreto che si sentirebbe molto imbarazzato a vedersi dalla parte sbagliata dell’obiettivo. 

    Romano – monteverdino, come era diventato in fondo Pasolini – è scomparso qualche anno fa e sentire evocata la sua foto più famosa mi riporta improvvisamente indietro e di molto nel tempo. Saremo a metà anni 80 perchè nel ricordo Teleroma 56 è ancora alla Balduina, non più a casa di Bruno Zevi, non ancora nella assurda gigantesca location di Fiano Romano. Pedriali venne in studio quella sera per una lunga intervista televisiva e mi resta, dopo tanto tempo, la sensazione di un artista dell’immagine e di una persona attenta, sensibile, che raccontò una storia di amicizia e di lavoro con Pier Paolo Pasolini.

    Eravamo nello studio più piccolo della tv e lui parlò anche di quella foto che fece il giro del mondo, diventata il ritratto di Pasolini per eccellenza. Raccontava – se non ricordo male ma non mi pare – che Pasolini era nella sua cucina di Sabaudia e stava scrivendo a macchina, seduto al tavolo dove avevano mangiato e che era stato da poco sparecchiato. 

    Pasolini – raccontò – non aveva molta voglia in quel momento di essere fotografato perchè stava lavorando ma Prediali era insistente. Pasolini, smise di scrivere quel che stava scrivendo, alzò gli occhi dalla Olivetti e assunse quella posa quasi provocatoria nei confronti del fotografo.

    Effettivamente l’espressione provocatoria la si legge bene a cercarla, una espressione che ci sta perché era nel personaggio per natura e per intelligenza. Dino Pedriali raccontò quella sera che quello scatto era stato uno scatto quasi casuale come capita regolarmente per le grandi fotografie che restano e dove spesso i loro autori si accorgono solo dopo di cosa hanno fatto. 

    Pasolini in quel momento insomma vide il fotografo non la macchina fotografica così come – in un’altra foto storica di cui abbiamo già parlato – Churchill vide solo il fatto che Yousuf Karsh per fare quella sua foto ormai storica – dove la volontà di non accettare nessuna sconfitta risultò evidente – gli sottrasse il suo sigaro. “The Roaring Lion”, venne poi notoriamente chiamata quella foto dai giornali anche se, in quel momento, il leone in realtà stava ruggendo principalmente perchè il fotografo lo aveva lasciato senza il suo sigaro.

  • Logbook 291 – Tracce settimanali

    Settimana volata via fra Roma e Napoli fra giornali che restano purtroppo prevedibili e tediosi per tifoseria di appartenenza. Sergio Mattarella invece conferma ancora una volta di essere punto cospicuo di questo strano Paese, ricordando che una democrazia, per essere tale, afferma la persona e non cosiddette etnie (per capirsi razze) eccetera. Difende anche il diritto di parlare in un luogo dove si è stati invitati e nel 2023 siamo ancora qui. 

    Ci sono state anche, altrettanto tediose, le nomine Rai e lo scandalo della lottizzazione, pensa te. La ex presidente della Rai – ex mia presidente e la ricordo bene – se ne va sbattendo la porta, come sempre con i rumori che la accompagnano. Dice che non è in linea con questo governo e io mi chiedo perchè mai un giornalista del servizio pubblico debba essere in linea con il governo mentre dovrebbe fare solo con correttezza e professionalità il suo lavoro. Insomma, a proposito di Napoli, l’Annunziata – protagonista di un ritratto magistrale di Luigi Mascheroni sul Giornale – se n’è iuta e soli ci ha lasciati, per citare Roderigo di Castiglia e una delle sue battute più feroci. 

    Quindi Napoli. Giro con Antonio, guida preziosa e innamorata patologicamente della sua città. Si passa dai Quartieri Spagnoli fino a dove un intero palazzo ospita Maradona. Siamo a Napoli e come noto al centro del viso di Maradona c’è una finestra e anche questo è unico, come tutto in questa città. Così capisco dal vivo, dopo libri e libri, in quel piccolo piazzale che un cartello specifica “privato”, come nascevano le cattedrali medievali. Compro il cappello ufficiale del Napoli per Luigi, a peso d’oro ma la gentilissima fanciulla mi fa scegliere visto che ci sono anche quelli non ufficiali che è un modo tutto napoletano per definire un contesto. 

    Scendiamo verso Piazza Municipio e ci sediamo nella piazza. Avrei voglia di un babà al Prencipe quindi ci sediamo guardando il porto in fondo mentre mi racconta delle fontane che c’erano lì una volta. Il ragazzo del bar, un po’ assente, ci dice che i babà sono finiti. Antonio vive la cosa come una cosa inaccettabile, un affronto alla città e ai suoi visitatori. Lo vedo realmente soffrire mentre manifesta con amarezza la cosa alla proprietaria, evasa per un momento dal bar e accasciata su uno dei tavolini accanto a noi. Allarga le braccia e ci comunica, con toni di orgogliosa scusa, che i babà del Prencipe finiscono la mattina in una attimo. Allarga le braccia e mi chiedo ma non le chiedo perchè non ne fanno di più, domanda a Napoli assurda. Rivedo la Napoli di Malaparte in quel gesto e ordino una cedrata.

  • Logbook 290 – “Burrasche” sulla rivista Lega Navale

    Condivido con piacere la recensione di “Burrasche. Diario di bordo 2022” apparsa sull’ultimo numero della rivista Lega Navale, il periodico della Lega Navale Italiana. Grazie al direttore Antonio Cosentino e alla redazione per l’attenzione. Potete scaricare e leggere il numero completo della rivista dal sito http://www.leganavale.it. La recensione del libro è disponibile anche su Ferian. Buona lettura.


    Il mare come metafora di vita “per guardare lontano e tenere stretto l’intreccio tra passato e presente”. Così racconta Paolo Mieli nell’intervista che introduce Burrasche. Diario di bordo 2022 (Edizioni Efesto, 2022) di Carlo Romeo. Il giornalista e scrittore torna in libreria dopo i successi editoriali di Di mare, barche e marinai (Mursia, 2015), Mollare gli ormeggi (Longa- nesi, 2010) e Boatpeople (Longanesi, 2007). Sfogliando Burrasche, il lettore ha la sensazione di trovarsi tra le mani una bussola per navigare in un anno burrascoso, il 2022, segnato dal passaggio da una pandemia globale ad una guerra combattuta alle porte dell’Europa. Accanto ad un’analisi accurata e mai scontata delle vicende e dei personaggi protagonisti dell’attualità politica nazionale e internazionale, non mancano riflessioni e racconti sul mare e sulla vela, in un intreccio tra vicende professionali e ricordi personali dell’autore. Nell’anno appena trascorso si sono celebrati tre importanti traguardi per la gente di mare, come il 91° anniversario del Vespucci, protagonista dei reportage di Carlo Romeo per San Marino Rtv – tra le produzioni televisive più significative sulla “nave più bella del mondo” – raccontata dall’autore in oltre quat- tromila miglia di navigazione, ma anche il 70° dell’impresa sportiva ad Helsinki di uno dei più celebri comandanti del veliero della Marina Militare: Agostino Straulino. L’ammiraglio e velista istriano è stato al timone del Ferian, il Gib Sea 372 di Romeo, che ha visto avvicendarsi a bordo personaggi di spicco della marineria italiana come Mario Di Giovanni, anche lui istriano come Straulino e di fatto fondatore di Marivela all’interno della Marina Militare. Il 2022 è stato un anno particolare anche per la Lega Navale Italiana, che ha celebrato 125 anni di storia. In alcune delle pagine più belle per chi ama il mare e la vela, Romeo racconta del suo viaggio estivo nelle sezioni pugliesi della LNI: “La Lega è fatta di persone che amano il mare, il proprio mare. […]. In tutte le sezioni in cui mi è capita- to di fermarmi ho trovato sempre accoglienza e amicizia di mare che – come quella di montagna – è solida anche fra sconosciuti che si incrociano per pochissimi minuti ma che frequentano da sempre la stessa vita.” Quel senso di comunità, quell’attenzione al sociale e alla protezione dell’ambiente, che la Lega Navale da oltre un secolo promuove attraverso numerose iniziative in tutta Italia e di cui l’autore, per sua stessa ammissione, si definisce storico e orgoglioso socio.

    Burrasche è disponibile nelle librerie e negli store online: https://amzn.eu/d/htXlFsP

    Scarica e leggi l’ultimo numero della rivista Lega Navale: https://www.leganavale.it/post/49703/rivista-lni-gennaio-febbraio-2023

  • Logbook 289 – Militaly 2024

    La notizia c’è, anche se per correttezza occorre aspettare la conferenza stampa ufficiale, perchè – dopo due anni in cui è stato assegnato in via straordinaria – dal prossimo anno il Premio Militaly diventerà una realtà e negli auspici un piccolo grande riferimento per quello che le Forze Armate stanno rappresentando per il nostro Paese, in questi difficili momenti.

    Il Premio nasce e va a affiancarsi all’ormai storico Premio Cerruglio, insediatosi ormai stabilmente a Montecatini e dedicato ai libri che hanno come argomento la difesa e la sicurezza. Promotore, anche in questo caso, è l’UNUCI di Lucca che riesce a fare da rete straordinaria, creando una sinergia fra moltissime realtà e protagonisti del settore in tutta Italia (e non solo se si pensa che gli ultimi due vincitori del Cerruglio sono stati Anna Zafesova e Alan Friedman).

    Il Premio Militaly 2024 è dunque dedicato a quei reparti delle Forze Armate Italiane (Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri) che si sono particolarmente distinti in missioni e operazioni sul territorio nazionale o all’estero dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno 2023. La giuria è composta da cinque elementi di assoluto prestigio perchè per ogni Arma c’è un suo rappresentante del massimo livello – e in un caso probabilmente qualcosa di più, diciamo – mentre come presidente è stato scelto invece un “laico” – un non appartenente alle Forze Armate – su cui al momento è preferibile sorvolare. Ci sarà tempo e modo per definire meglio, in una specifica conferenza stampa che sarà prevedibilmente entro giugno, tutti gli aspetti della circostanza. Le segnalazioni alla giuria potranno arrivare da qualsiasi fonte sia essa mediatica, istituzionale, interna o dal singolo cittadino stesso. La proclamazione avverrà nel maggio 2024 sempre a Montecatini. È una bella iniziativa e un modo per conoscere e valorizzare meglio il meglio che in questo ambito il Paese può dare.

  • Logbook 288 – “Giornalismi”

    Ci sono due tipi di “giornalismi” che sarebbero da evitare. Il primo è quello di propaganda coperta e l’esempio più classico è quello del giro di soldi che KGB, il partito al potere da trent’anni a Mosca, sta facendo girare in Italia quanto meno dal 2014 fra politici, giornalisti e cosiddetti esperti, solitamente di mezza tacca, per propagandare le tesi di Putin. I fatti cominciano a girare. La GdF segnala l’enorme giro di contanti che l’ambasciata russa a Roma ha fatto girare nell’ultimo anno mentre i rapporti internazionali ormai considerano l’Italia il Paese più infiltrato da quello che da sempre è il cavallo di battaglia dei servizi russi cioè la sua storica dezinformatzija. Tanto per fare un esempio fra i tanti di propaganda travestita da informazione che si potrebbero fare.

    L’altro tipo di informazione che ha preso sempre più piede negli ultimi vent’anni è quello di tipo diciamo insinuatorio. Dici e non dici, fai vedere e intravedere, giochi su accostamenti azzardati e su titoli atomici mentre la notizia magari meriterebbe invece una pernacchia. Una decina di anni fa ero in auto verso la Darsena Romana di Civitavecchia quando da San Marino Rtv che allora dirigevo, mi chiamò Giovanna Gobbi, ottima regista televisiva e sindacalista, per segnalarmi un articolo del Fatto. Me lo feci leggere mentre guidavo e era appunto un misto di insinuazioni, voci false mai verificate et similia. La cosa era grave perchè, se quegli argomenti avessero preso piede n quel momento in Parlamento, avrebbero potuto mettere in essere l’accordo fra Italia e San Marino – che era allora in discussione – e conseguentemente la sopravvivenza stessa di quelli che lavoravano allora nella tv e delle loro famiglie. Mi stupì inoltre la firma che era di un giornalista che in linea di massima stimavo ma che evidentemente si era lasciato prendere la mano dallo stile del giornale in cui lavorava.

    Era un sabato. Finito di ascoltare l’articolo, mi fermai alla prima edicola di Santa Marinella, quasi a Civitavecchia, e presi una copia del giornale. Entrai in un bar e, visto che non avevo da scrivere, su un tovagliolo di carta buttai giù un breve comunicato, durissimo, per annunciare contestualmente relativa querela e richiesta di risarcimento danni per la tv. Lo dettai alla segreteria di redazione per darlo subito alle agenzie che peraltro lo ripresero immediatamente. 

    Dopo varie udienze il tribunale ci diede ragione, sanzionando giornalista e direttore della testata (allora Antonio Padellaro) ma servì anche per stroncare altri articoli simili su RTV, fondati appunto su questo tipo di cosiddetto giornalismo. Questa è solo testimonianza di una piccola esperienza personale, condivisibile però con chi legge perchè il giornalismo “insinuatorio” purtroppo appare un po’ dappertutto e non solo in qualche testata. Una minaccia per tutti e soprattutto per una informazione che non sia avvelenata e dalla quale occorre difendersi senza se e senza ma.

    https://www.sanmarinortv.sm/news/attualita-c4/fatto-quotidiano-condannato-diffamazione-nei-confronti-san-marino-rtv-a58724

  • Logbook 287 – Santi

    I santi si aggirano fra noi anche se è difficile accorgersene. San Francesco di Sales per esempio venne proclamato santo relativamente presto e un suo vecchio aristocratico amico, ormai molto anziano, alla notizia della proclamazione pare abbia esclamato “Santo lui? Non è possibile! Abbiamo pranzato insieme tante volte”. Con i santi capita.

    Di santi dichiarati  o quasi ne ho conosciuti due e un terzo ragionevolmente sarebbe giusto lo diventasse più tardi possibile, visto che ha cominciato avendo come parrocchia una strada di Torino e proseguendo per tutta la sua vita in quella direzione. Il primo santo conosciuto è stato Giovanni Paolo II. Veniva a Introd in vacanza fra le montagne valdostane che amava molto fra gente di montagna che ne rispettava la sua privacy e il suo riposo di qualche giorno. Sotto gli occhi vigili della Gendarmeria vaticana e di Albert Cerise, capo della Forestale in Valle e sua guida per i sentieri e le cime, era il momento in cui riprendeva fiato. Non era inconsueto girare un sentiero e trovarlo su una poltrona di tela che leggeva davanti alle montagne. Che io sappia quando capitava che succedesse, mai nessuno si azzardò a avvicinarsi. Oggi non so se sarebbe lo stesso.

    Arrivava in elicottero dopo essere atterrato a Torino e nel comitato d’onore insieme alle Autorità locali e ai comandanti dei Carabinieri, della GdF e al Questore veniva invitato a essere presente  dal Presidente della Regione anche il direttore della Sede Rai valdostana. L’elicottero scendeva nel grande prato e lui si fermava a ricevere il saluto di tutti e per tutti aveva una battuta, una parola. Mi colpì il fatto che con me riprese un argomento lasciato in sospeso nella stessa circostanza della visita dell’anno prima. Due battute ma che dimostravano come fosse attento a tutto, presente a tutto. Una notte poi con Albert – con cui ero diventato amico, in Valle questa parola pesa – e con Monsignor Stanislao sotto un diluvio incredibile andammo a controllare se un enorme spiazzo, prospiciente alla sua abitazione  del papa, potesse ospitare un maxischermo con cui il giorno dopo – era domenica – si sarebbe collegata una comunità mi pare africana. Rientrammo dopo avere verificato a lungo tutte le coordinate, come se avessimo nuotato in un lago alpino tutti e tre.

    L’altro santo o qualcosa di molto simile era Monsignor Di Liegro, scomodissimo prete storico romano che trasformò la Caritas in una macchina del bene, operativa e necessaria in una Roma che cominciava sentire una immigrazione dai Paesi più poveri della terra e fino ad allora sconosciuta. Difendeva i primi immigrati arrivati e per questo un giorno un tassista romano lo fece scendere dal taxi. Immediatamente lo chiamammo e lo invitammo a Teleroma per una diretta. A quei tempi eravamo gli unici a usare il filo diretto – cioè le telefonate degli ascoltatori – senza filtri. Chi prendeva la linea, parlava per quaranta secondi. Dopo averlo intervistato – eravamo ancora alla Balduina – aprimmo le linee e per una mezz’ora furono insulti. Per inciso, quei programmi erano antesignani molto stretti, a ben vedere, degli odierni social. Sia come sia, ci arrivò addosso un diluvio di telefonate di insulti in romano stretto. Una particolare telefonata colpì però entrambi. Una persona – mi pare una signora – ci disse arrabbiatissima “Basta! È ora di finirla con tutti questi portoricani a Roma”. Noi lì per lì glissammo in onda ma in macchina, finito il programma, ci ragionammo sopra perchè la cosa ci aveva colpito. Di portoricani a Roma infatti – era la seconda metà degli anni ‘80 – a malapena forse c’era l’ambasciatore e il personale della relativa ambasciata. Che senso avevano dunque i portoricani evocati?

    Ce la spiegammo così. A quei tempi, la gente viveva attaccata alla tv e i canali erano i sei Rai e Fininvest più quattro cinque locali. Nei film e nei telefilm americani che affollavano i palinsesti, i portoricani rappresentavano molto spesso gli immigrati cattivi. Probabilmente era un modo per definire, attraverso un transfert, quei primi immigrati di cui Roma non sapeva neppure la provenienza. Io rallentai e lo guardai. Lui prima sorrise poi mi sembrò preoccupato, inquieto. Mi parlò allora di suo padre emigrato quando lui era bambino e di come lo ritrovasse ogni giorno in ognuno di quelli di cui si occupava. Don Di Liegro – Luigi anche lui a pensarci – conosceva bene la sua città e sapeva prevedere il suo futuro perchè viveva fra la sua gente. Lo lasciai davanti a dove abitava, forse la Caritas e forse Trastevere, non ricordo più. Rimisi in moto e mi diressi verso casa nella notte romana.