Lui è Pierre Cosso (accento rigorosamente sulla o, anche se non si scrive) perché i francesi ci tengono molto a queste cose. Pierre Cosso dunque ma chi se lo ricorda più, siamo seri.
Eppure almeno tre generazioni di maschi – quelli nati intorno diciamo alla metà degli anni ‘60 – lo hanno incontrato e invidiato profondamente, sprofondati nelle perplesse preadolescenze, adolescenze o postadolescenze che fossero e nelle frequentatissime scomodissime poltrone dei cinema di allora. Cosso dunque venne parecchio invidiato allora perché sullo schermo (e nella vita pare) aveva rapporti ravvicinati con una giovanissima Sophie Marceau, diventata subito il sogno adolescenziale di un paio di generazioni e scusate se è poco. Se qualche giovinastro di oggi ignora chi sia o come fosse al tempo delle mele Sophie Marceau, rapide ricerche lo aiuterebbero a incontrare un mito paterno o fraterno, se il fratello ha una certa età.
Comunque chi si ricorda oggi di Pierre Cosso? Grande successo al cinema, donne bellissime, vari matrimoni e poi, diverso tempo fa, si ritira a Tahiti dove vive in barca con la sua famiglia. Vita semplice, dice in una intervista sulla sua vita, e racconta come si vive in barca. Dice – en passant – una cosa che invece fa pensare e che, chi va per mare, sa profondamente vera.
C’è una cosa bellissima – dice infatti a Elvira Serra sul Corriere – una cosa bellissima che succede solo in mare: quando qualcuno sale a bordo non ti chiede mai che lavoro fai, ma da dove vieni e dove vai. Sia che sia un breve vagabondaggio estivo, sia che sia qualcosa di più impegnativo, quando si arriva all’ormeggio o all’ancora la prima domanda fatta o ricevuta è sempre da – dove – o dove – vai. È tutto normale – soprattutto fra chi va a vela, senza voler aprire facili polemiche in merito con i motoristi che a volte tendono purtroppo un po’ al cafonautismo – questo sentirsi parte di un mondo che ha lasciato a terra tutto il bagaglio autoreferenziale inutile. Il mare notoriamente non consente alcun bluff e quindi le cose diventano molto semplici. Anche il miglior marinaio può avere infatti quello che in gergo si chiama il momento del coglione così come, anche chi non ha mai messo piede su una barca, capita possa dare un contributo determinante in caso di emergenza.
Scatta sempre, in ogni caso, una solidarietà di mare per la quale si annulla ciò che conta a terra e resta quel “da dove, verso dove” che unisce gli ieri ai domani. La terra si allontana rapidamente, appena mollate le cime, e il porto, le sue persone, le sue storie, la sua stessa identità come porto – ormai svelata o ritrovata se già lo si conosceva – si allontanano con lei e con noi. Fanno memoria e esperienza e ci si rincontrerà, magari fra uno o dieci anni, come se ci si fosse lasciati il giorno prima.
Strano come a terra invece le cose siano spesso diverse. Fra invidie, rancori, frustrazioni e piccinerie, ci si avvelena la vita, forse proprio per mancanza di un vero pericolo che insegni a tutti l’arte della solidarietà reciproca. Quando il gioco si fa duro, infatti tutti devono giocare per salvare la pelle, non solo i duri, con buona pace di John Belushi. Il furto, nei porti, per esempio è praticamente inesistente e non è solo un problema di telecamere o di sorveglianza. È tradizione. Ai marinai che rubavano si inchiodava la mano destra all’albero di maestra e poi li si isolava nella palmetta di prora. Chi va per mare per mestiere ripete all’infinito che è necessario imparare a fidarsi, a trovare – nel proprio interesse – non il peggio ma sempre e solo il meglio nei propri compagni di equipaggio se si si vuole sopravvivere. Questione come sempre di occhi e di punti di vista.
Tornando alla scelta di Cosso, sono ormai parecchie persone che in giro per il mondo decidono di chiudere tutto e vivere a bordo. Una vita diversa certo, sicuramente difficile, ma se è fatta con il cervello e con il cuore al limite può funzionare. E, perché no, magari con in quadrato, sotto bussola e barometro, la foto di una ragazza, incontrata tanto tempo fa, che si chiamava Sophie.