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Logbook 95 – Si fa presto a dire fame

L’ultimo dei cavalieri dell’Apocalisse – il cavallo nero con il suo Cavaliere con in pugno una bilancia – galoppa dunque fra noi, anche nelle nostre terre ricche di obesi riusciti o di poco mancati. Il grano scarseggia e il granaio europeo – l’Ucraina – è sotto bombardamento da tre mesi. Il saccheggio dell’invasore russo prevede anche il grano e sui giornali si torna a parlare di fame a livello mondiale.

Ho visto la fame, come tanti altri che fanno questo mestiere. Io l’ho vista a metà degli anni ’80 quando una tragica siccità – non pioveva da otto anni e la fame la incontravo ovunque – si era abbattuta sul Sahel, spingendo le popolazioni nomadi del deserto verso le rive dell’Atlantico, in una migrazione tragica che distruggeva per cucinare qualcosa, tutto ciò che di combustibile trovava, aumentando così la desertificazione. 

Era l’Africa. Il suo incredibile cielo di notte, le centinaia di bambini ovunque sempre sorridenti, mosche e caldo. E fame. Entrammo in Mauritania, traversando il fiume Senegal su una zattera con la nostra auto, una Renault 9 che sulle piste di sabbia spesso tendeva a dissociarsi da noi o almeno ci provava parecchio. Quattro anni prima – soltanto quattro anni prima – in Mauritania era stata abolita la schiavitù e noi passammo da Nouakchott, la sua capitale, che ospitava ormai la più grande bidonville del pianeta dove fummo la prima troupe televisiva a entrare. Arrivammo poi fino ai confini del Mali – anche se parlare di confini in Africa suona sempre un po’ ridicolo – poi rientrammo in Italia ma, dopo pochissimi giorni, praticamente senza neppure disfare le valige, ripartimmo per il Burkina Faso di Thomas Sankarà. 

Era diventato da poco Burkina Faso invece che l’Alto Volta dei mercanti di schiavi. Burkina Faso, la Terra degli Uomini Liberi, anche se quella libertà durò poco come la vita del Presidente Sankarà, e con lui la speranza di un cambiamento africano mentre si cominciavano a avvicendare ai vecchi colonialisti anglofoni e francofoni, i primi cinesi che oggi ormai controllano la stragrande maggioranza del continente.

Proprio in Burkina mi accadde di incontrare, all’interno di un hangar coperto da un tetto di lamiera arroventata, le mangiatrici di anime e anche quella era fame. Quando tornai in Italia, Frigidaire mi chiese una storia di quel viaggio così raccontai questa vicenda. 

La storia uscì nel numero di fine anno – era il 1985 – e  il disegno in copertina (per inciso e per gli appassionati) era un caso unico, visto che lo avevano firmato insieme Andrea Pazienza e Stefano Tamburini.  

Eccola comunque qui, quella vecchia storia, per chi volesse conoscerla.


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