Logbook 121 – La cella accanto

La Storia non si fa con i se né con i ma, però le simulazioni e la fantasia possono servire anche la Storia. Così io sono qui da qualche tempo a chiedermi – e forse non sono il solo – cosa avrebbe fatto e cosa starebbe facendo Marco, a proposito di Russia, in questo momento se potesse essere presente.

Non fu un caso che decidesse di partecipare – e fu l’unico politico occidentale – ai funerali di Anna Politkovskaja (e sarebbe interessante farsi raccontare da chi lo accompagnava la blindatura che gli aveva sicuramente costruito intorno il Kgb o come diavolo si chiama oggi, tanto sempre lui é e sempre uguale a se stesso).

Il regime sovietico conosceva bene – e in fondo lo temeva perché non era né prevedibile né ricattabile né in vendita – quel politico che più volte era riuscito a inserirsi nella macchina di controllo politico interno. Era uno che aveva guardato con fiducia ma anche con molto scetticismo la caduta del blocco sovietico, concentrando molte attività radicali a Mosca. Poi ci fu la morte di Andrea Tamburi con il torace sfondato a calci in un vicolo di Mosca nel febbraio del 1994, uno dei maggiori e più sottovalutati episodi della fine del secolo scorso quando si parla di Russia. Quell’omicidio fu il segno definitivo e chiarissimo di dove stavano andando le cose, di chi stava prendendo il potere in Russia e con quali mezzi.

Il Kgb si stava facendo stato con i suoi mezzi, la sua cultura, i suoi uomini. La peggiore eredità sovietica stava insomma inesorabilmente prendendosi il potere e i sogni democratici erano destinati a rimanere tali e, per molti, a morire in cella o nel buio del regime con loro. Il grigio funzionario, scelto come prestanome, avrebbe poi giocato la partita come aveva imparato a fare negli anni della formazione, cioè a tradimento, uno dopo l’altro tutti coloro che lo avevano creato. Il Kgb si era fatto Stato.

Oggi insomma Marco cosa avrebbe fatto? Sicuramente un appello forte e rigoroso, raccogliendo le firme che gli avrebbero consentito di incardinare un fronte internazionale solido e prestigioso. Avrebbe tentato di contattare e incontrare i dissidenti russi in carcere – Naval’nyj ma non solo lui e magari poteva anche fare loro da buon vicino, se le cose fossero sfuggite di mano a Putin – perché a Mosca in qualche modo ci sarebbe arrivato e ci sarebbe restato. Avrebbero sicuramente tentato di bloccarlo ma la cosa non sarebbe stata facile. In ogni caso Marco avrebbe giocato la sua partita e – comunque si fosse mosso il regime di Mosca, nel diciamo bene o nel male – avrebbe vinto lui perché i regimi non reggono mai alla lunga di fronte all’intelligenza, al coraggio, al rigore di chi combatte per la libertà.

Ricordo bene, agli inizi degli anni ‘90 quando doveva ancora esplodere la Jugoslavia e il blocco sovietico era già in crisi, lui che ripeteva in pubblico e in privato che tutti i fantasmi peggiori del periodo nazista stavano improvvisamente risorgendo e io mi dicevo cazzo – ma – perché – deve – sempre – esagerare ma, come sempre, non era lui a esagerare. Semplicemente vedeva politicamente le cose per come realmente erano e come tali le affrontava.

Tutto qui ma non era, ma non é, poco.

Una opinione su "Logbook 121 – La cella accanto"

Rispondi a VinceAnnulla risposta

Scopri di più da Ferian

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading

Scopri di più da Ferian

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading