Così sono passati dieci anni. Sembrava incredibile e le immagini assurdamente fasulle. Le chiamate quella mattina si rincorrevano fra persone che alle Cannelle ormeggiavano regolarmente davanti alla spiaggia e a poca distanza dagli scogli che Schettino avrebbe preso in pieno.
Per noi della Darsena Romana di Civitavecchia – il porto antico prima etrusco poi romano poi pontificio poi le bombe alleate a distruggerlo – il Giglio era una delle mete preferite insieme a Giannutri e alla Feniglia, la spiaggia davanti a Porto Ercole dove morì Caravaggio. Sembrava assurdo tutto, compresa quella dichiarazione dello scoglio non segnalato quando era su tutte le carte per gli esami della patente nautica. Ancora oggi dare un senso a quel fatto, a quelle decine di morti. Forse il fatto che era una notte bellissima, il mare piatto, niente vento, invece di facilitare la navigazione la ha resa più difficile perché troppo facile. Forse. Gli eccessi di sicurezza si pagano cari sul mare come in montagna.
Certo, può capitare e capita quello che chi va per mare chiama “il momento del coglione”. Capita appunto a tutti quelli che vanno per mare e, se hai santi in paradiso o un po’ di fortuna, può persino andargli bene. La cosa però che sconvolge di più non è il momento appunto del coglione che si avvicina con la sua nave da centodiecimila tonnellate, a velocità improbabili, a pochi metri dalla costa, senza contare che oltre lo scoglio poteva esserci qualche pescatore appostato sulla sua barchetta. La cosa che colpisce di più è la telefonata di un’ora con Genova e l’armatore invece di gestire l’abbandono nave e poi, soprattutto – soprattutto – la nave lasciata con i passeggeri ancora a bordo.
É questo che dopo dieci anni ancora non è chiaro. Come può un comandante che si è formato sulla legge del mare fare una cosa del genere? Come può non saper gestire l’emergenza e il disastro? Il mare peraltro ha evitato una tragedia ancora più grave, spingendo con le sue correnti la nave verso l’isola e non al largo verso il gradone dove la profondità precipita e a quel punto la tragica conta sarebbe stata molto più grave. La perizia – firmata allora fra gli altri dall’Ammiraglio Cavo Dragone, oggi Capo di Stato Maggiore della Difesa – è stata chiarissima. Ma come è stato possibile? Sono dieci anni e per tutti noi – cui è capitato di navigare di notte fra la punta di Torre Ciana e il Giglio, dove i venti si incrociano – l’immagine dell’enorme fantasma bianco spiaggiato e illuminato dai riflettori arancioni resta ancora qualcosa completamente privo di senso.
