Novantuno anni e fra non molto – nel 2031 – saranno cento ma è come se fosse ieri. Difficile parlare di lei se ci hai convissuto per quasi cinquemila miglia nautiche nel corso degli anni. Il mio primo imbarco fu al Pireo, nell’anno in cui compiva ottanta anni e il Comandante era Paolo G. Reale. Arrivammo con Alessandro Busonero, allora forse Tenente di Vascello e il capo Maurizio Lapera, con un volo di linea da Roma, per lasciare subito il porto ateniese, dove per la prima di tante altre volte capii cosa vuole dire avere gli occhi di tutti – ma proprio di tutti – addosso.
Svolgevo una attività di formazione al personale di bordo e agli allievi dell’Accademia, su richiesta di Palazzo Marina, sul tipo di quella già fatta per SMD in Afghanistan con i Media Combat Team di ISAF. Al tempo stesso, realizzato tutto da personale militare, venne fuori anche un ricordo televisivo di quella campagna. Il Corso diventò quello dei Triarii, nome interforze che peraltro suscitò una certa perplessità nel Capo di allora. Sbarcai al largo di Reggio Calabria, con la biscaglina, su una ognitempo della Capitaneria di Porto mentre lei si allontanava per entrare in Tirreno, rotta Castellamare di Stabia, dove aveva conosciuto per la prima volta il mare ottanta anni prima. Poi ci fu, quattro anni dopo, la prima uscita per provare i motori dopo il lungo restauro, seguito dal Comandante Pacifici in Arsenale a Spezia e la prima Preghiera del Marinaio al tramonto mentre per due giorni si continuava ininterrottamente a fare la spola fra la costa di Lerici e la Palmaria. Poi l’Atlantico da Sines fino a Funchal e poi, sulla via del ritorno dagli Usa, ancora da Cadice a Tolone con il Comandante Angelo Patruno. L’anno dopo da Amburgo a La Rochelle con il Comandante Roberto Recchia e infine tre anni fa da Alicante – che lasciammo con un mare selvaggio – fino all’Elba con il Comandante Stefano Costantino e un finale inatteso fra padre e figlio, lui maresciallone di bordo e il giovane ufficiale della Capitaneria venuto ad accogliere per servizio la nave in rada. Cristian Torelli riuscì a riprendere la scena che é una di quelle che resta. Cristian con cui avevo condiviso quasi tutte quelle miglia, era ormai adottato di fatto dalla gente di prora, in particolare dai nocchieri che sul Vespucci sono una parte mobile della nave.
I nostromi, gli ufficiali, gli allievi, i marinai, sono comunque tutte facce che si sovrappongono nella memoria mentre lei resta lei. Incrociarla al largo dell’Elba, mentre usciva dalla nebbia con le cime di sicurezza a poppa che sfioravano l’acqua – come è capitato a me di vederla una grigia mattina autunnale di parecchi anni fa – resta nella memoria. La Sala Consiglio, il pianoforte, le coffe, i banchi di quarta che sono il miglior luogo per capire le vele, la nuova mensa e la nuova sala macchine all’avanguardia, tutto a bordo è spettacolo e dettaglio. È marineria pura, in sintesi. Gli ottoni lucidati da generazioni di futuri ammiragli, morti di sonno e di stanchezza, brillano regolarmente da più di ottant’anni quando la luce bassa del sole sfiora il cassero, scavalcando l’allievo di guardia a poppa infagottato nella sua cerata. Sono stato a trovarla, visto che ero impegnato in una attività a Varignano, nell’autunno scorso, mentre era al suo ormeggio invernale spezzino.
Sghindata, con i lavori in corso, mentre attraversavamo il ponte per salutare il suo nuovo comandante, il Capitano di Vascello Massimiliano Siragusa, sembrava un po’ impacciata perché il suo mondo è il mare ma come sempre era bella, la più bella del mondo.
