Faccio un salto in barca e non mi pare vero, di questi tempi. La mia barca ha più di trent’anni ma ogni barca, come la nave di Teseo, se è una buona barca e viene rispettata resta una buona barca e quasi migliora nel tempo, miglia dopo miglia. Una delle ragioni di rispetto è la regolarità del tagliando motore annuale. Vero è che una barca a vela utilizza o dovrebbe utilizzare il motore solo – come appunto veniva definito una volta – in quanto mezzo ausiliario. Non a caso le barche a vela di una volta, disegnate per la vela, quando spegni il motore e le vele prendono il vento, si liberano ed è come se perdessero peso, acquistando leggerezza, potenza, agilità. Il motore però sempre meglio averlo e averlo in forma quindi il tagliando annuale serve, eccome se serve. In teoria preferibile farlo prima dell’inverno ma quest’anno è andata così fra Covid e altro e poi d’inverno continuo a uscire, quando è possibile, quindi anche farlo adesso ci può stare.
I controlli del tagliando sono i soliti. Filtri vari, livelli, cambio olio, una occhiata alle cinghie. Routine anche se ogni volta qualcosa ci sta che salti fuori. Questa volta è la guarnizione di uno dei due tappi che lascia trafilare un po’ d’olio motore. Nulla di che ma meglio evitare, visto che si tratta si cambiare al volo una guarnizione. L’astina dell’olio dell’invertitore ha anche lei qualche problema di guarnizione. Anche qui seccature ma nulla di più, toccando legno. Rimessa a bordo anche la zattera, dopo la revisione biennale. Imbarcato l’estintore da sei chili dopo il controllo annuale. Non è obbligatorio ma solo con i tre estintori da un chilo obbligatori, francamente, sono fra quelli che si fidano poco. Anche la carena è fatta e ora manca la parte diciamo delle pulizie di Pasqua. Coperta, teak e dentro una risistemata anche per ricordarsi dove sono state stivate quelle cose che se non ti servono hai sempre fra i piedi ma che misteriosamente scompaiono non appena ti dovessero servire.
Sono giorni difficili ma salire a bordo aiuta come sempre a staccare il cervello, a rientrare in un mondo che è fuori e che è sempre più difficile contenere. In fondo continuano ad avere ragione i Greci, sostenitori del celeberrimo dire che esistono soltanto i vivi, i morti e i naviganti. Dei naviganti che (ai tempi loro e fino a non molto tempo fa) non sapevi, da terra, se fossero ancora vivi oppure morti, appena dopo mollati gli ormeggi, quindi erano e restavano naviganti, forse vivi, forse morti. Se ritrovassi – e non lo trovo il Settimo Libro della Antologia Palatina – mi piacerebbe rileggermi a questo punto gli epitaffi dei morti per mare che ne sono fra i protagonisti. Il trasloco di questa estate purtroppo ha nascosto al momento il bellissimo secondo volume di Einaudi, curato da Filippo Maria Pontani. Ottimo ripiego potrebbe essere riprendere in mano la Terra desolata di T. S. Eliot e il suo Fleba il Fenicio morto da quindici giorni, se non che porta male, per chi frequenta il mare, giocare troppo con certi argomenti. Non che i marinai siano superstiziosi, per carità. Basta chiederlo loro e, come noto, la risposta è sempre negativa. Ci sono, certo, tutta una serie di antiche leggende come le storie di nomi cambiati alle barche, tradizione aberrante e rischiosissima di cui persino R. L. Stevenson diffida – e lo scrive – nell’Isola del Tesoro.
Cose così, insomma, roba da gente di mare, come anche la bottiglia che non si rompe al varo di una nave, Dio guardi. Segue filmato.
