Logbook 64 – Ken Parker, forever

Ci sono personaggi, storie, dischi, film, che per varie ragioni – non tutte prevedibili e comprensibili – diventano parte di noi, soprattutto quando si è giovani. Un quadro, un libro, un disco appunto in cui ci si ritrova, ci si riconosce con stupore a volte insomma cose da giovani. Forse. La mia generazione per esempio è stata segnata – anche e parecchio – dai fumetti, prima ancora che la genialità di Oreste del Buono e di Umberto Eco li sdoganassero, spostandoli dalla pattumiera alla libreria.

Leggevamo Tex, il Grande Blek, Kinowa, Capitan Miki e altrettanti improbabili personaggi dei quali il migliore di fatto era Aquila Solitaria (ossignur!) che non a caso è ancora sulla breccia, con la sua camicia gialla con fazzolettone e i suoi jeans blu che non si sporcano mai. Le armi sono migliorate nel tempo perché Galeppini – diciamocelo – le armi proprio non le sapeva disegnare e a volte anche i cavalli non era chiarissimo che bestie fossero. Tex ok ma per noi, a fine anni ’70, la vera rivoluzione fu un personaggio (sempre della famiglia Bonelli) con la faccia di Robert Redford, disegnato con uno stile inconfondibile. Di fatto, era stato strappato al cinema perché il personaggio parte – ma prestissimo si allontana e va da solo – da un bellissimo western appunto con Redford protagonista. Il titolo originale era “Jeremiah Johnson”, Hollywood, 1972 con la regia di Sidney Pollack, tanto per capirsi. 

Ken Parker dunque uscì e fu uno choc. Storie che non si ripetevano mai, anzi. Giancarlo Berardi, che lo scriveva, sembrava quasi avesse la fobia che la storia del numero che usciva  somigliasse a quella del mese precedente. Ebbe successo nonostante non concedesse molto al gusto vigente anzi. Un successo impensabile sotto certi aspetti, che è divenuto oggetto di cult, oltre il tempo tanto è vero che ancora oggi (ripubblicato integralmente da Mondadori, non da molto) risulta uno dei personaggi più amati e celebrati. Le copertine di Ivo Milazzo – due artisti come Berardi e Milazzo che si incontrano, sono in fondo la prova che esiste un disegno fra le divinità competenti che ne regolano il percorso – sono preziose, ben oltre il loro fine. Viene da pensar, per associazione, a Ferenc Pinter e alle sue copertine storiche per Mondadori quando si parla di arte della copertina. Artisti in settori dove l’arte è difficile  purtroppo che venga riconosciuta come tale con buona pace dei succitati Eco e c. Un po’, per inciso, come i comici al cinema che di fatto non vincono mai un Oscar, anche se notoriamente è molto più difficile far ridere che far piangere, al cinema e non solo.

La storia editoriale stessa di Ken Parker è una storia a sé. Di lui ne parliamo talvolta con Ivo – quando capito a Chiavari o quando lui capita dalle mie parti titaniche – e lui ne parla con affetto, con orgoglio e forse con un velo di malinconia, non tanto per la vicenda quanto per il periodo. Ken Parker, a trovarlo, resta comunque anche oggi con tutto il suo valore e, se si riesce a trovarne qualche copia originale doc, anche meglio. In tempi di serial tv, sarebbe proprio il caso di andare a dare una occhiata a quelle cinquantanove puntate già pronte che, a rileggerle oggi, sono ancora più belle. Sono storie di praterie ma anche di mare – London riaffiora giustamente – e soprattutto di rispetto. Rispetto per la natura, per le diversità e, forse e non è poco, rispetto per il lettore cui fornire ogni mese una bella storia, nuova, raccontata e disegnata bene. Mica poco.

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