Logbook 63 – Quando i muri parlano

If this wall could talk. Sul muro bianco del piccolo tranquillissimo bar della piazza di Chiesanuova, progettata da Tonino Guerra, campeggia grande questa scritta. Scritta geniale e universale che potrebbe essere adottata da qualsiasi locale ovunque e da sempre, dal pub di Edimburgo, poco distante dal Royal Mile, alla caffetteria di Gerusalemme, dietro la Torre di David accanto alla porta di Giaffa, tanto per fare due esempi a caso. 

Se questo muro potesse parlare, appunto. Però a volte i muri parlano e raccontano storie. C’è un locale particolare – fra i tanti – ed è ad Aosta. Si tratta di Papà Marcel, praticamente poco dopo la Croce di Città, che segnava ad Aosta l’incrocio fra il cardo e il decumano romani.

Papà Marcel è luogo di storia perché è lì che decine e decine di generazioni di alpini si radunavano per mangiare e bere. Se poi diciamo, più bere che mangiare, nulla di nuovo ma non sbagliamo di molto. Papà Marcel è morto da tanto tempo ormai ma il locale è ancora lì e i suoi muri continuano a parlare perché non rimane molto spazio bianco fra tutte le migliaia di firme dei veci che ci sono passati.

La Scuola Militare Alpina di Aosta era un passaggio obbligato e Papà Marcel in fondo lo era altrettanto. Erano e sono due piccole stanze regolarmente affollate la sera di penne di corvo, d’aquila ma anche non raramente d’oca.

Quei muri parlano e raccontano storie ormai antiche. L’intonaco, presto ricoperto di altre scritte, copre quelle più antiche. Papà Marcel è il rosso nel bicchiere, il fumo perchè si fumava – e come se si fumava – e chiacchiere allora per lo più in veneto, piemontese, bergamasco, valdostano. 

Ca custa lon ca custa viva l’Aousta, e si andava all’assalto. Costi quel che costi, che poi sarebbe il più recente “whatever it takes” e chissà se il romano Mario Draghi, passando da Villa Borghese, ha mai visto il monumento all’Alpino e del suo solido Mulo, di fronte alla Piazza di Siena frequentata invece da cavalli fighetti, che riporta quel grido di guerra del Battaglione Aosta? Costi quel che costi.

Capire gli Alpini non è facile. Gente di montagna ma anche di deserti afgani dove abbiamo condiviso molte cose. Poche chiacchiere sempre, uniti più che fratelli. I loro raduni poi sono uno spettacolo. Ne ricordo uno in particolare proprio a Aosta. Trecentomila alpini in una Regione con centoventimila abitanti. Fiumi di vino e di allegria poi tutti inquadrati e concentrati nel corso della parata. La sera festa ovunque e la mattina dopo all’alba, più nessuno e neanche una carta per terra che ne testimoniasse il passaggio. Quest’anno li aspettano Rimini e il Titano che, quando soffia dai Balcani – 2012, nevone, tre metri di altezza – é monte che sa anche lui in fondo farsi rispettare.

In fondo non è casuale che alpini e marinai si capiscano al volo. Sanno entrambi che il confronto con la natura è perdente, che devi conoscerla e amarla se vuoi sopravvivere e capire gli enormi doni che può dare. Non è neppure un caso che ci siano locali di marinai le cui pareti parlano. Uno per tutti é il mitico e ultracentenario Peter Cafè di Horta, sull’isola di Faial, alle Azzorre, tappa obbligata per chi attraversa l’Atlantico ma non é difficile trovarne in ogni vecchio porto.

Molti muri parlano e, quando parlano, raccontano cose incredibili. Ci sarà modo di riparlarne.

Una opinione su "Logbook 63 – Quando i muri parlano"

  1. Papa’ Marcel era ill mitico rifugio per tutti gli Alpini in libera uscita, che – onestamente – non avevano molte possibilita’ di svago ad Aosta, ai tempi della naja. Un po’ come noi a Vipiteno, dove c”era una pizzeria, ma temo che, come molti altri punti di riferimento di allora, oggi non ci sia piu’, o sia diventata un qualche locale asian fusion tenuto da cinesi, chissa’. Papa’ Marcel resiste, anche se non e’ piu’ lo stesso dopo la fine della naja. Appare per qualche secondo anche in una puntata di uno sceneggiato poliziesco che si puo’ trovare su internet.

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