Logbook 62 – Aspettando Vladimir?

C’è un’aria strana come se dovesse accadere qualcosa di sorprendente, twitta Clemente Mimun, uno che ha il sesto senso – quello della notizia e della situazione – quasi istintivo. Effettivamente c’è un’aria strana e chi va per mare sa bene cosa vuol dire quest’aria. 

C’è un momento di calma di vento e di mare infatti, prima della burrasca, in cui tutto si ferma, tutto tace, ma è un calma terribile, piena di tensione. Il mare è grigio, niente vento o quasi e, se sei per mare, è il momento di preparare rapidamente ma senza fretta la barca. Rizzare tutto il rizzabile, sia in coperta che sotto coperta per evitare che voli in mare o peggio voli per la barca, giubbetti salvagente e lifeline per legarsi, coprirsi bene perché freddo e acqua (piovana o di mare che sia) sono un cocktail micidiale a poi controllare ancora una volta la rotta, la vicinanza della pericolosissima terra, le vie di fuga dal groppo. Perché la burrasca sta per arrivare, lo sai, come sai che passerà anche questa, comunque e in ogni caso, con te o senza di te.

Sembra comunque anche a me che siamo in un momento del genere. Forse non sarà così ma ci sono momenti in cui capisci che stai vivendo dentro un qualcosa di particolare, qualcosa in cui la nostra quotidianità assume quasi un sapore di ironico se non addirittura di ridicolo. Chiaramente, in questa calma fasulla, è enorme il peso della guerra – chi se la aspettava in questi termini e con questi potenziali? – dopo tre anni di pandemia globale che ha lasciato i segni dentro e fuori, soprattutto per i bambini che stanno crescendo con il terrore di un abbraccio. Ottima eccezione, per inciso – se di eccezione come non è sperabile si tratta – sono le immagini virali (termine peraltro orrendo) di bambini spagnoli che abbracciano un loro coetaneo ucraino appena arrivato nella loro scuola, rilanciate da Roberto Saviano.

Pesano guerra e paura dell’imprevedibile, quando saltano tutti i riferimenti, mentre il solito teatrino mediatico autoreferenziale dei pupi agita miscele sconosciute, senza neppure avere idea di cosa stia facendo, di cosa stia accadendo.

Accadrà dunque qualcosa? Giancarlo Dotto mi diceva pochi giorni fa – in una di quelle telefonate lunghissime che ci uniscono da una vita e che potrebbero essere antesignane dei podcast o di un ricovero per entrambi alla Neurodeliri – che ormai il segno universale è chiaramente quello di Samuel Beckett e del suo genio. E così aspettiamo Godot, un Godot che si modifica a seconda delle circostanze, degli spettatori e forse persino dei due protagonisti. A proposito dei protagonisti di questo dramma, scritto più di settant’anni fa e che oggi si riaggira a pieno titolo fra noi, uno si chiama Estragon ma l’altro, per caso o per destino, Samuel Beckett decise di chiamarlo Vladimir. E così, di questi tempi, fanno tre.

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