Logbook 71 – Alla deriva

In partenza nuovamente per Roma, settimana di rassegna stampa ma domani sarà un po’ particolare. Già detto qui della sede di Radio Radicale, ultimo piano di Via Principe Amedeo 2, che per la prima parte del 1944 era stata la Pensione Oltremare, la sede segreta – fino a un certo punto – dove la Banda Koch torturava dopo averli derubati – su commissione dei nazisti e la connivenza dei fascisti – partigiani, oppositori e malcapitati finiti fra le loro mani.

Ancora oggi si intuiscono le stanze di allora. La stanza n.1 della pensione dove alloggiava Koch non è difficile intuirla mentre la “stanza triste”- la chiamavano così gli stessi membri della banda – era invece la numero 16, quella degli interrogatori.

Domani, invece di andare come al solito direttamente con la mazzetta dei giornali in studio, sarà meglio salire un momento fino a quelle due stanze in alto con le piccole finestre sul cortile, dove Koch e i suoi sgherri facevano per fascisti e nazisti il lavoro più sporco di quello già molto sporco che essi facevano da soli. Quattro piccolissimi abbaini ciechi, in un corridoio a sinistra sono molto probabilmente invece le celle di punizione mentre i muri, sotto l’intonaco, forse conserveranno ancora graffiti significativi, come quelli di via Tasso e di tanti altri luoghi di dolore.

Era il fascismo, era regime. Gerarchi corrotti che utilizzavano criminalità comune e manovalanza sadica che prendeva a pretesto una ideologia per scatenare il peggio che aveva dentro ma anche le pecore grigie – senza le quali nessun regime può essere tale – che passavano davanti a quel portone e guardavano altrove, senza sentirne le urla. I regimi si somigliano tutti per i metodi, per la persecuzione continua di ogni forma di libertà, di giustizia, di strumenti per conoscere la verità dei fatti, dei riscontri oggettivi.

Ma anche per il fascismo, come sempre, c’era altro. C’era una parte di una generazione che fraintese – in buona fede – l’onore e fece scelte sbagliate. Una generazione di giovanissimi che è stata liquidata per decenni comprensibilmente con silenzio e disprezzo. Mostri insomma ma non tutti erano mostri e molti di loro non lo furono, Sarebbe veramente troppo facile se il bene fosse tutto da un lato e il male tutto dall’altro e la guerra civile dal 1945 al 1948 ne fu buona testimone.

Carlo Mazzantini era un uomo robusto, dal sorriso serio. Nato a Roma nel 1925, l’8 settembre del 1943 scappa di casa per “andare a combattere al fronte” con due amici nel Nord Italia. Così camicie nere, Valsesia, Val d’Ossola e tutti gli orrori che vede a diciannove anni e poi  Milano, preso dai GAP e davanti a un plotone di esecuzione più volte. Non è una stupida belva e ha cuore, dimostrandolo anche nei fatti. e in certe circostanze, salvandogli probabilmente anche la vita.

Quando tutto finì, Mazzantini se ne andò a vivere all’estero, rientrando solo quando si sentì pronto a fare i conti con il suo passato, con la sua angoscia. Erano andati a cercar la bella morte, per un fuorviato senso dell’onore, mi raccontò, perchè la retorica dei regimi uccide e uccide anche parecchio. A cercar la bella morte, non a caso è proprio il titolo del suo libro che gronda sangue e storia e umanità in ogni pagina, cercando di dare un senso a ciò che senso non poteva avere. Eravamo, scrive Mazzantini, ragazzi alla deriva, le ultime scorie di quella mareggiata, delusi incattiviti, avevamo commesso violenze e soperchierie, posseduti da quella rabbia, quella volontà cattiva di trovare un responsabile su cui sfogare quelle delusioni, la miseria in cui era precipitata la vita. 

Queste stanze ospitarono nel ’44 Maurizio Giglio, che aveva la responsabilità delle radio della Resistenza romana, torturato al punto che lo dovettero portare a braccia all’ultimo appuntamento – sacello 150 – e che fino all’ultimo istante si rifiutò di denunciare quello che decenni dopo sarebbe diventato un grande Capo di Stato, braccato allora in quanto capo partigiano dai nazisti. E poi Pilo Albertelli – sacello 176 – e tutti gli altri. Finirono tutti in una cava sull’Ardeatina, mani legate dietro la schiena e un colpo alla nuca. Poi l’esplosivo perchè anche il male si vergogna del male e bisognava cancellare le tracce. Tu guardi da lontano Bucha e rivedi quella cava, ne risenti l’indimenticabile odore. 

Giglio e Albertelli sono solo due dei tanti nomi che segnano quel luogo dove domani all’alba del 25 aprile 2022 vedremo insieme i giornali. I loro dossier mi sono ormai diventati familiari. Sarebbe bello sapessero che quelle stanze di Via Principe Amedeo 2, da decenni ormai, testimoniano con onore e coraggio, non la loro morte ma la loro vita.

A domani, per chi ci sarà, con un abbraccio (e un grazie di cuore a chi si é iscritto in questi giorni al blog).

CONTRO OGNI RITORNO

Piero Calamandrei

Epigrafe scolpita sul marmo della stele commemorativa della strage delle Fosse del Frigido (Massa), inaugurata il 21 ottobre 1954

INERMI BORGATE DELL’ALPE
ASILO DI RIFUGIATI
PRESE D’ASSALTO COI LANCIAFIAMME
ARSI VIVI NEL ROGO DEI CASALI
I BAMBINI AVVINGHIATI ALLE MADRI
FOSSE NOTTURNE SCAVATE
DAGLI ASSASSINI IN FUGA
PER NASCONDERVI STRAGI DI TRUCIDATI INNOCENTI
QUESTO VI RIUSCÌ

S. TERENZIO BERGIOLA ZERI VINCA
FORNO MOMMIO TRAVERDE S. ANNA S. LEONARDO
SCRIVETE QUESTI NOMI
SON LE VOSTRE VITTORIE
MA ESPUGNARE QUESTE TRINCEE DI MARMO
DI DOVE IL POPOLO APUANO
CAVATORI E PASTORI
E LE LORO DONNE STAFFETTE
TUTTI ARMATI DI FAME E DI LIBERTA’
VI SFIDAVA BEFFARDO DA OGNI CIMA
QUESTO NON VI RIUSCI’
ORA SUL MARE SON TORNATI AL CARICO I VELIERI

E NELLE CAVE I BOATI DELLE MINE
CHIAMAN LAVORO E NON GUERRA
MA QUESTA PACE NON E’ OBLIO
STANNO IN VEDETTA
QUESTE MONTAGNE DECORATE DI MEDAGLIE D’ORO
AL VALORE PARTIGIANO
TAGLIENTI COME LAME
IMMACOLATO BALUARDO SEMPRE ALL’ERTA
CONTRO OGNI RITORNO

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: