Marzia Straulino raccontava a Giuliano Gallo per il suo libro dedicato a uno dei più grandi marinai del secolo scorso che, nei porti e nei marina, i suoi equipaggi venivano definiti “quelli dei piedi bianchi” perchè, a differenza di chi in barca naviga a piedi nudi, chi calza le apposite scarpe alla fine si ritrova con diciamo una abbronzatura disomogenea. In effetti però, se lo skipper è uno skipper serio, considera doveroso a bordo tenere e far tenere le giuste scarpe.
Principalmente è un problema di sicurezza, non girare scalzi nonostante la tradizione di farlo sia antichissima. Se non si è dunque il pescatore o il marinaio di almeno un secolo fa, meglio tenere a bordo le scarpe così si evitano dita dei piedi e caviglie fratturate dai micidiali acciai di coperta e capita di scivolare, magari sul teak appena trattato con misteriosi composti estremamente untuosi.
Belle parole ma siccome, in barca come ovunque, capita a tutti quello che tecnicamente viene definito il momento del coglione, la volta che non rispetti la regola e non utilizzi le scarpe – per il solito pericolosissimo incrocio fra eccesso di sicurezza e fascino discreto della pigrizia – può accadere che scivoli male e ti rompi due costole (8va e 9na a destra). Meglio fare sempre e comunque attenzione dunque.
Così, sempre nell’ambito della sicurezza, è necessario fare attenzione a quella che sempre in gergo nautico si definisce bomata. Se infatti, per una strambata andata male, per un errore del timoniere, per un colpo di vento improvviso, il boma parte a una velocità incredibile, spazzando via tutto quello che trova, per andare a fermarsi, con il rischio di fare danni, sul sartiame del lato opposto, ci si può fare molto male. È storia antica e recentissima, il ripetersi di questi incidenti che finiscono per funestare regate e crociere. Rimedi? Ci sono sistemi che rallentano lo scorrere della scotta, prestati dalla gente di montagna che fa alpinismo. Un piccolo otto in acciaio per esempio fa da freno se posizionato bene, rallentando la corsa folle dell’antenna che sostiene la randa. Soprattutto però quella che conta a bordo per evitare complicazioni e tragedie è la prudenza, l’attenzione costante alla barca, al mare, al vento, all’equipaggio.
Anche sulle barche da diporto peraltro la legge prevede che il responsabile sia sempre e comunque soltanto il comandante o skipper che dir si voglia. La differenza è tenue perchè, generalizzando un po’, si tende a considerare comandante chi è anche armatore della barca mentre lo skipper ne è invece solitamente il comandante temporaneo.
Occorre quindi considerare con molta attenzione quello che vi si chiede a bordo da parte di chi ha la responsabilità della navigazione, anche se a un primo istante le indicazioni – per non dire gli ordini – possono sembrare un po’ assurdi. In mare non c’è tempo di spiegare perchè bisogna agire con rapidità e efficacia. Intanto si esegue e poi nel caso si chiede. L’alternativa c’è ed è molto semplice. Se non vi fidate del vostro capobarca fatevi mollare nel primo porto, prima che altri lo facciano per voi. Si tratta comunque di uno di quei rarissimi sistemi che finiscono per contentare tutti.
Tornando a Agostino Straulino, le leggende narrano che non fosse esattamente didattico a bordo né tantomeno paziente. Se arriva il maltempo, che si fa? gli chiedeva immancabilmente qualche nuovo ospite e lui immancabilmente rispondeva: prenderemo gli opportuni provvedimenti. Per un certo periodo il Ferian lo ha visto spesso al suo timone, con equipaggi formati spesso tutti da ammiragli. Oltre Straulino, al suo timone infatti, a cavallo fra i due secoli, si avvicendavano anche altri personaggi di spicco della marineria italiana come Mario Di Giovanni, anche lui istriano, di fatto il fondatore di Marivela all’interno della Marina Militare italiana. Si narra fosse molto più disponibile alla formazione dell’equipaggio di quanto lo fosse Straulino e non a caso grandi velisti come Pietro D’Alì arrivano dalla sua scuola. Il Ferian di fatto per Di Giovanni era la sua barca. La avevano comprata già di seconda o di terza mano, in società con un altro ammiraglio subito dopo aver lasciato il servizio e dopo aver visto molto presumibilmente qualche centinaio di altre barche. Erano istriani, gente che aveva letteralmente imparato a andare a vela prima ancora di imparare a camminare.
In Rai realizzammo una quindicina di anni fa – non ricordo più in occasione di quale scadenza istituzionale – un programma dedicato a Agostino Straulino, in strettissima collaborazione con la Marina e le Teche Rai, che diventò un dvd ancora oggi molto ricercato, distribuito allora con la rivista Solovela di Maurizio Anzillotti. Il programma lo aveva curato Paolo Capponi e la regia era di Donatella Meazza. Agostino Straulino è una di quelle personalità che non riescono a sfuggire alla leggenda. Innumerevoli vittorie olimpiche e non solo ma anche una vittoria – che ho già raccontato in Di mare, barche e marinai per Mursia – a un mondiale da Comandante del Vespucci, sotto gli occhi del suo equipaggio e della sua nave, ormeggiata nel Golfo di Napoli. Vinse anche cinque volte di seguito la Regata Over Sessanta che si tiene a Napoli, capitale italiana della vela con Trieste, e l’ultima volta aveva ottantotto anni. È bello saperlo.
