Logbook 92 – Il Mare e l’umiltà

Questa storia la gente dei mari del Nord la conosce bene. In realtà non è solo una vecchia storia di mare ma è anche una storia di incompetenze, di arroganze, di soggezioni al potere. Il vascello si chiamava Vasa – il nome della famiglia reale svedese – e avrebbe dovuto essere l’orgoglio della marina e del regno di Svezia. Il re Gustavo II Adolfo stipulò nel 1625 con il costruttore Hybertsson un contratto per la costruzione di questa gigantesca nave, per la quale verranno abbattute oltre mille querce e che avrebbe dovuto diventare il simbolo di una delle più potenti flotte del mondo.

Il costruttore morì due anni dopo ma i lavori dovevano proseguire in velocità. Il Vasa doveva prendere il mare e non c’era tempo da perdere. Il 16 gennaio del 1628 lo stesso re Gustavo Adolfo ispeziona di persona il cantiere, dando una serie di indicazioni che si riveleranno fatali. A bordo sessantaquattro cannoni di grosso calibro, alberi alti oltre centocinquanta metri, ma la nave è anche un’opera d’arte con la poppa decorata da decine di sculture dipinte e dorate. Tutto sul Vasa deve essere di più e è il re che decide. Lui è il re e la nave è la sua.

La tragedia avviene il 10 agosto dello stesso anno. Il viaggio inaugurale non riesce neppure a prendere il mare aperto. La nave, appena fuori dal porto di Stoccolma, prende vento. La prima raffica la fa inclinare da un lato e comincia a imbarcare acqua dai portelli dei cannoni, ai ponti più bassi. Lentamente, davanti all’orrore delle migliaia di persone presenti sui moli, il Vasa affonda, con centocinquanta persone a bordo, in pochi minuti e con lui affonda l’orgoglio svedese. Il comandante Sofring Hansson, un danese, viene immediatamente arrestato ma altrettanto rapidamente rilasciato.

Non c’è colpa a bordo. Nessun ubriaco fra i marinai, i cannoni rizzati a dovere, la zavorra a posto, tutto era a posto, e comunque accertare le responsabilità sarebbe stato inutile, se non per trovare qualche comodo capro espiatorio. Tutta Stoccolma infatti sapeva che il re aveva insistito per avere più cannoni, quindi era necessario ridurre l’opera viva – la parte immersa in acqua di una nave – a favore dell’opera morta che invece è quella fuori dall’acqua. Dovevano esserci dunque più cannoni – ha detto il re – e questo condizionò la parte finale della costruzione. Troppo peso in alto e la zavorra in basso era insufficiente, è evidente che la nave si capovolge ma come dire di no? Quattro anni dopo, nel 1632, Gustavo Adolfo morirà combattendo a Lutzen contro il Wallenstein. Due colpi di moschetto lo disarcionarono e le picche imperiali lo finirono a terra.

Il Vasa restò sul fondo appena fuori dal porto di Stoccolma e per secoli si studiarono i modi per recuperarlo, tutti falliti. Solo nel 1961, fu finalmente possibile, applicando tecnologie avanzate, riportarlo alla luce e la sorpresa fu enorme. Il fango e la natura stessa dell’acqua di Stoccolma avevano infatti preservato la nave, quasi mummificandola. Ci fu certamente  lavoro per i subacquei che dovettero fra l’altro sostituire moltissimi dei bulloni di ferro che la ruggine aveva mangiato ma nel complesso tutto era rimasto pressoché intatto. Come per magia, grazie alla salinità dell’acqua e al tipo di fango del fondo che non aveva consentito che la nave marcisse, la nave tornava di nuovo alta sul suo mare.

Oggi il Vasa con il suo museo è una delle maggiori attrazioni di Stoccolma, una testimonianza del mare che il mare ha preso e ha restituito com’era, quasi a voler ricordare l’umiltà. Il Mare come la Montagna ne sono grandissimi maestri, soprattutto per chi si crede onnipotente, onnisciente, e in quel caso raramente perdonano.

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