E così uno alla fine si ritrova a tifare con entusiasmo per Alessandro Sallusti, confermando che siamo in un’epoca di sparigliamenti selvaggi. L’altra sera Sallusti da Giletti (e quindi da La7 quindi alla fine fine da Urbano Cairo che poi é quello che paga) ha chiarito con durezza una serie di punti che hanno definito molte cose. Giletti aveva preparato la solita messa cantata con quel genio di cui è sommo artista, il genio del banale. Il teatrino questa volta era a Mosca con accanto due “utili idioti” (Sallusti dixit e ci si associa volentieri) di regime e la portavoce spocchiosa del ministro Lavrov. Insomma più che una marchetta, un marchettone filorusso.
Sallusti non ci sta. Non faccio la vostra foglia di fico, dice. Poi spara a zero sulla trasmissione, salva in parte Giletti un po’ per educazione un po’ per una certa pena che traspare, anche perché dalla portavoce Giletti si è preso pure del “bambino” per chiudere definendo il Cremlino un palazzo di merda e annunciando che se ne andava, rinunciando al compenso. Per chi non lo avesse ben chiaro, i partecipanti ai talk ricevono gettoni di presenza che possono arrivare a qualche migliaio di euro a comparsata. Il che peraltro spiega, volendolo, molte piccole cose.
Giletti di fronte alla scena collassa come la Francesca Bertini appesa alla tenda di antiche memorie e il programma viene salvato da una delle ospiti, Myrta Merlino, che mette la solita pezza. Giletti – visto che lo show va avanti senza di lui che nel frattempo sta facendo la figura del pirla planetario – molla la tenda, annusa i sali e annuncia di essersi ripreso ma ormai la marchetta è andata a puttane, tanto per restare nell’ambito.
La cosa che più sconvolge è proprio questo cercare di girare la frittata della guerra. Mario Draghi la ha sintetizzata un po’ troppo ma rendendo bene l’idea, mentre spiegava la guerra a dei bambini. Un bullo prende a pugni uno più piccolo. Puoi fare tre cose. Guardare da un’altra parte, schierarti con il bullo, dare una mano al più piccolo. Troppo semplice? Forse ma alla fine è quello che è successo. Viene in mente una scena che ha come protagonista Morgan Freeman – forse proprio la scena che gli ha consegnato l’Oscar – dove il vecchio ex pugile che pulisce la palestra vede un bullo massacrare sul ring un ragazzo non molto sveglio e decide di intervenire. Ricorda un po’ quello che è successo in Ucraina a febbraio, quando una settimana prima Putin negò persino che il movimento di truppe ai confini fosse una invasione e che si trattava invece di una semplice esercitazione. I regimi vivono di menzogne, si reggono sulle menzogne.
Il fatto è che i dittatori sono tali perche non hanno più vincoli e limiti. Una volta il giullare aveva un ruolo determinante a corte perchè il re, almeno da una voce, poteva sentire le verità scomode. Se il giullare manca e tutto diventa roba da cortigiani vil razza dannata, la prima vittima prima o poi è proprio il despota cui magari si farà credere per paura o per adulazione che Kiev cadrà in due giorni. Vero é comunque che, per esempio e tornando ai bulli, se uno sa che una persona ha paura dei cani – cosa legittima e comprensibile – e all’improvviso gliene fa entrare uno poco rassicurante nella stanza, non ci sono giullari che tengano. Anche in queste piccole cose si riconosce il bullo e, in fondo in fondo, anche un po’ lo stronzo.
Il cinema ci ha dato tanti esempi di cosa sia un dittatore. Uno fra i tanti è un modello molto attuale, la cui visione sarebbe da suggerire a tutti gli zar realizzati o in via di realizzazione. È Re Julien, il più emblematico fra i despoti. Basta sentire il suo ultimo desiderio.

Analisi impeccabile.