Lo ho incontrato una sola volta. Era in una delle celle del tribunale a Poggioreale, mentre era in corso il cosiddetto processo a Enzo Tortora e alle centinaia di altri imputati coinvolti in quella assurda e tragica farsa.
Venne solo quella volta per un confronto con Giovanni Pandico che insieme a Giovanni Melluso rappresentava il cardine della accusa. Si trattava dei due soggetti psicologicamente non esattamente solidissimi che gli inquirenti avevano arruolato, in mancanza di meglio, per sostenere accuse assurde contro Enzo Tortora.
Renato Vallanzasca era solo nella sua cella nella grande aula, in attesa che cominciasse l’udienza. Mi avvicinai, mi fece un cenno di saluto come se ci conoscessimo, e cominciammo a parlare. Lui raccontava, analizzava, scherzava con una capacità che ricordo pensai subito sarebbe stata l’ideale se invece di scegliere il crimine avesse scelto la televisione, contesto a volte non del tutto dissimile peraltro e per inciso.
Ne venne fuori un racconto per Frigidaire ma quello che più mi colpì fu il confronto che seguì davanti ai giudici con Giovanni Pandico. Vallanzasca era palesemente annoiato mentre Pandico raccontava storie su storie di carcere.
Vallanzasca guardava altrove paziente e completamente disinteressato da quello che stava ascoltando. Pandico come al solito metteva insieme fantasie, chiacchiere, storielle carcerarie di seconda o di terza mano, attribuendosi sempre un ruolo da protagonista che oggettivamente risultava a tutti poco credibile. Una guapparia insomma di infima qualità.
Dopo direi una ventina di minuti mentre Pandico raccontava episodi che riguardavano Vallanzasca, successe qualcosa che ancora ricordo quasi fosse stata la scena di un film. Lentamente Vallanzasca si girò verso di lui, per la prima volta lo guardo negli occhi e con una voce assolutamente tranquilla gli disse piano “Pandico, mi stai rompendo i coglioni” e tornò indifferente a guardare altrove.
La scena in pochissimi secondi cambiò completamente. Pandico iniziò a balbettare confusamente. Le parole non arrivavano più chiare mentre il colorito – già non esattamente tale – diventava di cera. In tribunale tutti si erano resi conto che quelle sei parole di Vallanzasca, dette – ed è bene ripeterlo – con molta tranquillità, avevano sconvolto quello che in tutti quei giorni era stato il sicuro mattatore del processo, il beniamino dell’accusa.
Dopo pochi minuti, il presidente del tribunale chiuse quella scena ormai diventata pietosa. Vallanzasca si alzò tranquillo senza neppure guardarlo e si diresse senza fretta, con un passo elastico, verso la sua cella, accompagnato da quattro carabinieri mentre Pandico invece sembrava incapace di alzarsi dalla sua sedia.
Mi capitò a Palermo qualche anno dopo di assistere a una scena in qualche modo simile. Stavamo lavorando al teatro Massimo e durante una pausa ero fermo con un collega siciliano in cima alla grande bellissima scalinata del teatro.
Sotto di noi, due persone di mezza età vestite dignitosamente in giacca e cravatta stavano chiacchierando tranquillamente su un lato del marciapiede. Improvvisamente arrivò a grande velocità una BMW, inchiodando quasi davanti a loro, vicino alla macchina che probabilmente era di uno dei due che parlavano.
Scese un giovane con un’aria aggressiva, vestiti sgargianti, occhiali da sole e relativa abbronzatura, cominciando inveire contro i due rispetto forse al modo in cui avevano parcheggiato e qui la scena diventò surrealista. Infatti i due tizi in giacca e cravatta continuavano a parlare tranquillamente fra loro senza neppure guardarlo mentre lui alzava sempre di più la voce, avvicinandosi con aria minacciosa.
Arrivò a mezzo metro da loro ma per loro era come se non esistesse. Improvvisamente il giovane si fermò, smise di urlare, si guardò intorno, risalì sulla sua auto e scomparve sgommando. Non capivo e il collega siciliano pazientemente mi spiegò la scena tutta siciliana. Se i due soltanto lo avessero guardato, lui era necessariamente un uomo morto.
Praticamente, quel giorno, i due boss – perché tali erano – avevano fatto la loro buona azione quotidiana, anche se nei confronti di un emerito fesso.

“Speak softly and carry a big stick.” (Teddy Roosevelt). Chissa’ perche’ il Pandico di questo racconto ricorda un altro guappo internazionale, alquanto agitato, che in questi giorni tenta di essere credibile.