Era una donna straordinaria. Sarà banale ma è l’unica definizione che mi viene in mente per lei. Ci conoscevamo di vista ma diventammo amici, quando a Rai1 riuscimmo – ancora non so come ma praticamente tutto il merito fu suo – a vincere una scommessa quasi impossibile.
Quando arrivai al Segretariato Sociale, nel 2000, in Rai tutto ciò che era comunicazione sociale veniva per lo più considerato una marginale e comunque innocua anche se molesta seccatura. La Sede di Confronto con i rappresentanti del Terzo Settore, che doveva partire da una vita per contratto di servizio con il Governo italiano, non partiva mai ma riuscimmo in meno di un anno, in qualche modo, a insediarla
Cominciammo insomma un lavoro durissimo – con la benedizione di Luigi Ciotti e di Andrea Caneavaro – con una squadra di cui facevano parte fra gli altri Enzo Cucco, Betta Norzi, Claudia Fascia, Alberto Trionfi, Vera Leotta, Laura Bonardi, Sabrina Manzo, e poi Marilena Andreotti, Armando Buonaiuto e la signora Viviani a Torino.
Era necessario insomm convincere il servizio pubblico che il sociale non andava nascosto o subito ma rivendicato, come i programmi legati al sociale non dovessero più avere linguaggi e contenuti tristi e pietosi nel senso più deleterio del termine ma vivaci, che portassero ascolto, altrimenti sarebbero stati inutili, che con il terzo settore ci si doveva confrontare e non arroccarsi. Le Paralimpiadi, per esempio, non erano roba sociale, come sembravano pensare quasi tutti, perchè quelli erano atleti a tutti i livelli. Ci vollero tante battaglie però per farlo capire a tutti, redazioni sportive comprese, dove le generazioni più vecchie dei cronisti parlavano di poveri infelici mentre c’era più felicità in uno di quei campioni che in tanti altri di quelli sedicenti normali messi insieme.
Riuscimmo dunque a far partire la sfida,, un programma di prima serata del sabato su Rai1, grazie a Raffaella. Si chiamava Amore e aveva come obiettivo la promozione delle adozioni a distanza e la sua diffusione. Raffaella conosceva bene il problema, lei che sarebbe stata una madre fantastica, una madre romagnola per capirsi. Ne parlammo e divenne una furia con Sergio Japino che era già convinto di suo e anche lui quando si muove è abbastanza simile a un carro armato.
Il programma andò benissimo. Io non volli mai esserci alla produzione che si faceva nell’Auditiorium del Foro Italico e affidai tutta la nostra competenza alla più giovane della squadra, Benedetta de Mattei, sulle prime terrorizzata ma che rapidamente seppe gestire una situazione complessa al meglio. A distanza ovviamente la rete di sicurezza c’era sempre ma è l’unico modo che conosco quello di provare e di far crescere le persone. Benedetta svolse tutto al meglio, andò bene il programma – lo show era fatto bene, si raccolsero centoventimila adozioni in sei puntate con ascolti notevoli da sabato sera – e andò alla grandissima Raffaella. Il tutto si concluse anche se la seconda serie – sollecitata da tutte le Ong del settore che avevano collaborato strtrettamente, cosa non così scontata peraltro – non partì ma ce lo aspettavamo. Il programma era troppo avanti e occorreva che la Rai lo metabolizzasse. Per la cronaca andammo poi con Stefano Belardini del Tg1 in Libano a documentare – o, se si vuole, a controllare – alcuni progetti di adozione che erano stati realizzati con quel programma e erano tutti andati come dovevano.
Ricordo Raffaella a Bruxelles dove andammo insieme per incontrare Franco Frattini, che si spese molto per il programma a livello internazionale, e l’applauso di tutto l’aeroporto a vederla quando arrivammo ai controlli. La sicurezza belga, donne e uomini, non finiva di applaudire con lei che sorrideva commossa perchè voleva bene al suo pubblico e il suo pubblico lo sapeva. Mi raccontava in aereo del suo futuro impossibile di ballerina di danza classica – anni alla sbarra ore e ore ma con il suo fisico, mi spiegava, non era possibile anche se non si arrese facilmente – e di come quel sogno sia stato anche una formazione, una disciplina, che la aveva formata.
Ci rivedemmo a un compleanno di Antonello Venditti, nella sua casa sulla Tiberina e con noi al tavolo c’era Renato Zero, una delle persone cui era più legata. Ci risentimmo poi per un suo intervento alla conferenza stampa di presentazione a Parigi, la prima volta che Serhat corse per San Marino all’Eurovision. Era in Spagna ma intervenne con una lunga affettuosa telefonata di in bocca al lupo e quando Serhat arrivò in finale – la seconda volta che partecipò, nel 2019 – fu molto contenta e me lo fece sapere con molto affetto.
Questo poco posso dire di lei – come testimonianza – se non che era una persona che nella vita bisogna saper incontrare e in questo caso che fosse famosa importa relativamente. Lei era soprattutto grande come persona anche se come artista era il top. Ci sono persone così fra noi con un cuore grandissimo e un coraggio da vendere per superare ogni ostacolo. Non tantissime ma ci sono e è un peccato, un vero grandissimo peccato, non saperle vedere, se ci capita – e capita, anche se a volte non ce ne rendiamo conto – di incontrarle.

Grazie, non il solito ricordo. Molto bello. Avevo dimenticato quella trasmissione.