Logbook 123 – Al Tempio dei Giovani

Devo a Ruth Dureghello una storiella molto utile che confesso mi sono giocato parecchie volte, sia in pubblico che in privato. Lei me la raccontò al termine di una bellissima serata in uno dei posti più incredibili di Roma, il Tempio dei Giovani nel cuore dell’Isola Tiberina. La Comunità Ebraica mi aveva invitato per raccontare quel gennaio 1991 e le bombe di Saddam su Tel Aviv. Ogni sera di quel gennaio difficile, raccontavo da lì ai romani cosa stava succedendo. Era il 1991 cioè telefonini, pc, social eccetera, neanche a parlarne e le poche voci che arrivavano da Tel Aviv – la maggior parte dei giornalisti europei era al King George di Gerusalemme – davano informazioni preziose anche e forse soprattutto a chi aveva familiari in Israele.

Furono momenti importanti e peraltro non dimenticati. Non molti anni fa mi capitò di non potere pagare il conto in un ristorante del Ghetto di Roma perchè il proprietario si ricordava con che angoscia lui che aveva tutta la famiglia a Tel Aviv aspettava quei collegamenti serali. La situazione era abbastanza surrealista perchè Saddam poteva innescare gli Scud – dei cessi volanti di scarsissima precisione, tanto che a volte sbagliavano addirittura città – solo di notte perchè i satelliti a quel tempo la notte non davano una visione chiara. Su Tel Aviv la copertura era affidata ai piccoli missili Patriots che quasi sempre riuscivano a intercettarli. Quasi sempre, perchè ogni sera c’era un palazzo colpito qualche ferito e non raramente qualche morto.

Tel Aviv viveva normalmente dall’alba al tramonto ma, appena andava via il sole, cambiava tutto. Ricordo molto bene per le strade principali, persone anziane con la scatola marrone di cartone e la cinghia di plastica nera che avevamo tutti, che conteneva la maschera antigas e la maxisiringa per i gas nervini. Saddam aveva infatti annunciato che gli Scud avevano anche testate con gas micidiali e io vedevo quelle persone anziane che di nuovo – come quando erano bambini – rivedevano il fantasma dei gas nella loro vita. Non era una cosa molto rasserenante il loro sguardo.

Raccontavo queste cose e tante altre di quei giorni, quella sera sull’Isola Tiberina, a un pubblico numeroso e attento. C’erano anche Ruth che a quei tempi credo fosse Assessore della Comunità alla Scuola (che poi sarebbe diventata la prima e attuale Presidente donna della Comunità) e Ruben della Rocca – oggi suo vice – che (se non ricordo male fu insieme a Vittorio Pavoncello, amico di una vita) uno degli organizzatori della serata. Non so come e perchè parlai anche delle mamme italiane e alla fine, dopo le domande del pubblico, mentre bevevamo qualcosa, Ruth mi raccontò della mamma ebrea e della cravatta. Fu un regalo prezioso, quella storia e ancora oggi gliene sono grato. Ruth ha un sorriso eccezionale e lo sfoderò dicendomi “Tu dici le mamme italiane ma la sai quella della mamma ebrea e delle cravatte?”. Rispondo di no e lei mi racconta.

Una mamma ebrea regala al figlio due cravatte, una rossa e una blu entrambe molto belle perchè lei ci tiene che suo figlio faccia bella figura. Per il pranzo dello Shabbat, la settimana dopo, il figlio mette una delle due, diciamo la cravatta rossa, perchè sa che a sua madre farà piacere, almeno così pensa. All’ora di pranzo, come previsto, arriva dai genitori con la sua famiglia. Suonano alla porta e apre la madre. Lei lo guarda bene, ci pensa su e poi, con tono sostenuto, gli dice “Mi dici cosa aveva la cravatta blu che non andava bene?”.

Il che è bello e istruttivo, come diceva Guareschi. E non solo per le mamme ebree, peraltro.

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