È Marco Aurelio e non solo lui. Un uomo vale quanto vale la sua parola, afferma infatti uno dei pochi imperatori romani che non fossero palesemente psicopatici. Alla base di qualsiasi rapporto resta questa chiave di volta, troppo spesso rimossa. Se dai la tua parola, infatti, è qualcosa di molto simile al sacro quello che stai facendo e di questi tempi peraltro se ne avverte la disperata necessità di gente di parola.
Sono solo parole certo. Come quelle dette ieri in occasione di uno dei più orrendi episodi di uno dei più orrendi anni capitati alla Capitale nel secolo scorso e che ha distrutto la più antica comunità ebraica europea. Il periodo che va dall’8 settembre 1943 al giugno 1944 con l’arrivo degli Alleati fu un momento di buio totale, di delazioni e di eroismi, di doppiogiochisti pronto a riciclarsi dopo aver servito il regime ormai in agonia e di protagonisti preziosi per la nuova Italia, uccisi alle Fosse Ardeatine o a Forte Bravetta.
Un esempio per tutti. A proposito delle Fosse Ardeatine – se ne scriveva qui qualche tempo fa citando il libro di Pierangelo Maurizio – vennero trovati due cadaveri di soldati tedeschi uccisi insieme agli italiani ma in un corridoio laterale. Furono molto probabilmente i due soldati che si rifiutarono di sparare a civili feriti e legati con le mani dietro la schiena e in fondo furono eroi sconosciuti anche loro.
L’unico italiano presente alle Fosse Ardeatine era il commissario Raffaele Antonio Alianello, uomo forte della Questura e fiduciario delle SS nonchè uno dei quattro italiani che fecero materialmente la lista – e che ne conoscevano i probabili segreti – di quelli che sarebbero stati trucidati alle Ardeatine poche ore dopo via Rasella. Gli altri erano il prefetto Caruso e Pietro Koch, processati e fucilati nel giro di poche ore dopo l’arrivo degli Alleati, e Donato Carretta, direttore di Regina Coeli (e che come tale aveva collaborato alla fuga dal carcere di Pertini e Saragat) che venne linciato in una stranissima misteriosissima circostanza. Dei quattro solo Alianello sopravvisse. Si riciclò abilmente e proseguì la sua carriera fino a diventare prefetto negli anni ‘60.
Tornando alla tragedia ebraica di una Roma che sembrava per metà denunciare gli ebrei per soldi e l’altra metà impegnata a nasconderli, Giorgia Meloni dice cose giuste e condanna l’episodio con parole dure. Se saranno parole con conseguenze concrete sarà molto facile verificarlo. Vedremo come si comporterà con quello che sta succedendo in Iran dove è ormai rivolta di popolo e in Ucraina dove si aspetta una conferma forte che questa Italia non accetta violenza e invasione.
Vedremo se al Copasir – che controlla i Servizi Segreti italiani – l’opposizione nominerà qualcuno a sua volta controllato da Putin e se la maggioranza avrà qualcosa da dire. Vedremo se Giorgia Meloni accetterà realmente l’invito – come ha dichiarato – di andare a Kiev e cosa dirà in quel contesto. Ciò su cui si fondano il nazifascismo, il putinismo, e tutti gli altri regimi dove l’omicidio politico diventa procedura consueta, è il vero grande nemico da sconfiggere ogni giorno. A parole e nei fatti, soprattutto se si vuole essere realmente un Premier.
