Logbook 168 – Ci vorrebbe un amico

Entro in un bar e la voce di Antonello Venditti mi ferma il cucchiaino nella tazzina del caffè. Gli voglio bene da tanto tempo. Quando sparii da Roma per la Valle d’Aosta, a metà degli anni ‘90, era convinto fossi morto così quando ci rivedemmo qualche anno dopo per una conferenza stampa organizzata da noi in Sala Arazzi, mi abbracciò davanti al Cavallo dicendo “Ti ho allungato la vita”, secondo la vecchia tradizione romana che accompagna i dati per morti.

Poi ci furono i momenti di Bologna quando andammo a una festa etnica eritrea – la comunità è molto numerosa in quella città –  dove lui era l’ospite d’onore per tutto quello che faceva per il popolo eritreo e poi le strade vuote del centro mentre rientravamo a piedi in albergo. E Civitavecchia, alla Darsena Romana dove passò diverse ore con i ragazzi e le ragazze con disabilità che facevano con i volontari velaterapia e ancora gli incontri nella sua villa di Fiano che Luigi chiamava la fattoria e dove lo affascinava lo studio di registrazione. I concerti sempre affollati da quattro cinque generazioni diverse, tutte che conoscevano a memoria ogni testo e il piacere di Antonello di stare insieme con le persone dove palco e platea diventano una cosa sola. Luigi è un affezionato e l’ultima Antonello, nel salotto del camerino, gli presentò Gianni Morandi che era a Cattolica per sentirlo e che poi aprì un bellissimo concerto.

Antonello conobbe Luigi che a quell’epoca aveva dieci anni (oltre a una ricchissima collezione di operazioni neurochirurgiche al Gemelli) in occasione del Giubileo delle persone con disabilità, indetto da Giovanni Paolo II a dicembre del 2000. Era il mio primo inverno alla direzione della comunicazione sociale della Rai e erano tempi duri perchè si doveva far cambiare una mentalità e in alcuni contesti non era facile, soprattutto per quel che riguardava le reti televisive. La radio – è veramente il media più bello – invece reagiva molto meglio a suggestioni e proposte che arrivavano da noi. Così proponemmo a Radio1 – se non ricordo male la dirigeva Paolo Ruffini allora – una intera notte in diretta che accompagnasse i pellegrini in viaggio verso Roma per quella giornata del Giubileo. Migliaia e migliaia di persone si stavano muovendo con pullman e quant’altro verso San Pietro.

Immaginammo una diretta dalle 23 fino alle sei del mattino, con tre studi che si passavano la linea. A Roma, negli studi di Saxa, c’erano i Ladri di carrozzelle e Fabrizio Frizzi (altro grande amico di Luigi) mentre a Milano negli studi di Corso Sempione c’era Dario Fo che faceva da padrone di casa insieme a tanti altri ospiti. Antonello suonava a Palermo quella sera quindi la logistica si complicava. Sfruttammo una disponibilità di un piccolo aereo che ci portò da Palermo su Napoli, l’aeroporto aperto più vicino a Roma a quell’ora, dove trovammo una macchina Rai con le chiavi a bordo. Ci mettemmo per strada, prendendo parte alla trasmissione via telefono, per arrivare nel cuore della notte a Saxa dove finalmente in studio facemmo le sei. L’alba era lontana e faceva freddo. Andammo in centro per fare colazione e ci fermammo qualche minuto alla Chiesa del Gesù, un luogo familiare per lui, poi decidemmo di fare un salto da me, poco distante. 

Luigi era sveglio quando arrivammo mentre la mamma dormiva. Entrammo e Luigi che conosceva le sue canzoni a memoria era entusiasta, Li lasciai soli per andare a mettere su il secondo o il terzo caffè. Quando rientrai in camera loro – mia moglie si era barricata in camera, come dice Luigi quando ricorda l’episodio – lo spettacolo era un po’ surrealista. Antonello stava su una gamba sola in piedi nella stanza mentre Luigi aveva il libro con la storia di Robin Hood della Disney, recentissimo regalo, in mano. Alla mia faccia perplessa Antonello mi spiegò che stava facendo vedere a Luigi cosa era una gru, non so che personaggio della storia fosse. Sta su una gamba sola, mi disse, e Luigi non capiva così gli stavo facendo vedere come sta in piedi una gru su una gamba sola. Lo avrei abbracciato in quel momento. Il succitato caffè e poi ci ributtammo nel traffico romano, dopo vari saluti diretti con Luigi e, attraverso una porta rigorosamente chiusa, con Anna. Nottata complessa ma che resta.

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