Un giovane si sarebbe ucciso il giorno prima di una laurea che non esisteva. Si sarebbe ucciso in un modo inconsueto, lanciando l’auto contro un albero. Uno scatto improvviso, quando non vedi vie di uscita e il contrasto con una realtà reale ti distrugge. Si alterano le prospettive e qualcosa che potrebbe essere una sconfitta, una vergogna, viene gestita diciamo alla giapponese.
Oltre la tragedia, torna la grande patologia di questi tempi ovvero il rifiuto della realtà. Sarà colpa di un mondo drogato di immagine, sarà responsabilità della eliminazione di quelli che una volta si chiamavano riscontri oggettivi, sarà quel che sarà, ma la realtà virtuale, la realtà che che vogliamo diventi vera, si sta scollegando sempre di più da quella reale.
Il rifiuto della propria età del proprio corpo della propria identità, la fuga in mondi virtuali in cui ci si inventa diversi da quel che si è, rappresenta ormai una patologia sociale che non va sottovalutata e che colpisce tutte le generazioni, dalla ragazzina che si fa rifare il seno a quattordici anni al novantenne convinto di avere ancora quarant’anni, dai genitori certi di avere un figlio genio o campione a tutta una serie di altri esempi che ci circondano e che facciamo spesso finta di non vedere. I suddetti riscontri oggettivi invece, una volta accettati, dicono il contrario ma li si ignora altrimenti la bolla in cui si vive scoppia.
Poi la realtà arriva comunque con la sua forza che è la forza della vita e ci sbatte in faccia il suo essere tale mentre le balle che ci raccontiamo, la trama di nulla che ci costruiamo intorno, spariscono in un istante lasciando segni spesso tragici.
