Nei nostri settimanali appuntamenti radiofonici sul Mediterraneo, questa volta l’idea era di parlare di una lingua che è ormai diventata l’esperanto del secolo. Lingua, cultura, speranza, passione, dipendenza o chiamatela come volete, il calcio lega popoli e tradizioni diverse. Questi giorni di Mondiali lo confermano e l’esplosione del Marocco, il fatto che tre squadre su quattro affaccino sul Mediterraneo, sottolinea ulteriormente questo aspetto.
Ne parlo dunque in collegamento con un amico carissimo oltre che uno dei migliori giornalisti su piazza. Definire Giancarlo Dotto un giornalista sportivo è estremamente riduttivo ma è ben vero che è anche questo anche se non solo questo. Dunque il calcio e il Mediterraneo. I giocatori che arrivano da tragedie dopo averlo traversato a nuoto, i bambini che lo attraverseranno con quel sogno di calcio e di ricchezza che troppo spesso è destinato a restare tale.
E poi le diversità che si annullano appena salta fuori un pallone, come ormai ci insegna il cinema di Tornatore – il film non a caso si intitola “Mediterraneo” – oppure di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ne parliamo poi improvvisamente vedo sul video, inviata da Carmine in regia a Roma, la notizia che è morto Mihajlovic, lo dico a Giancarlo e lo vedo commosso. Se lo aspettava, dice, ma non così presto. di vederlo passare in ombra, lui che tutti definivano un guerriero come se i guerrieri non fossero poi sempre i primi a morire.
Dotto ha scritto non caso uno dei più bei libri sui nostri miti, sugli Dei fantasmi che oggi ci ossessionano e si ossessionano, partendo proprio da un nome anzi dal nome, quello di Diego Armando Maradona. Il libro si chiama “Il Dio che non c’è” e non a caso.
