Riprendo per l’ennesima volta, come ogni volta che serve dentro, Montaigne. Con il Seneca di Lucilio e il saggio pazzo ceronettiano del Qohelet, sono testi che accompagnano una vita. Dei tre, Montaigne è forse l’amico più sicuro, quello che conosci e che ti conosce perchè conosce se stesso. Come con un amico, si evitano finzioni e maniere perchè si è quel che si è e basta così, va bene così. Seneca invece è più Maestro mentre l’Ebreo Urlante poi è il tronco cui aggrapparsi quando il mare è in burrasca e tu ci sei dentro.
Peraltro forse Montaigne è il primo a aver inventato il blog, così come lo intendiamo noi oggi. Nella sua torre del Perigord Michel de Montaigne scrive – anzi detta per la verità perchè non scriveva ma dettava, come peraltro faceva Casanova – ma lo fa solo per se stesso. Non cerca fama di scrittore nè tanto meno di convincere qualcuno, in un suo personale dialogo interiore tracciato sulla carta.
Montaigne si confronta continuamente – onorandoli sempre – con i grandi, con i classici, in un colloquio che scavalca secoli e continenti. Così, leggerlo e rileggerlo è come affondare in una poltrona comoda, davanti al fuoco del camino e lasciare fuori il resto, vederne il ridicolo, la farsa. Dall’altra parte della Manica non tarderà infatti molto a farsi sentire una altra voce, simile alla sua, per ricordare come la vita sia soltanto una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore che non significa niente.
Anche Fabrizio Salina conosceva bene Montaigne per dire e dirsi che “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”. Di questi tempi sono ossigeno puro, robe così.
