Sulla vicenda Cospito se ne sono sentite di ogni. Tragico tutto a partire dal 41 bis e dalle condizioni delle carceri italiane. In questo “ogni” – settore trattative e non – spicca un articolo di Giuliano Ferrara che mette in chiaro come non sia corretto evocare il caso Moro e le trattative negate in quell’occasione da parte dello Stato in un sussulto di rigore improprio. Altri tempi, dove le BR e il terrorismo avevano storie molto diverse e molto, molto più spietate di quelle degli attuali anarchici.
Penso anche io che sia rischioso evocare tempi tragici e lontani ma un nome non mi sembra sia mai comparso in questi giorni, dimenticato o rimosso che sia. E’ quello di Ciro Cirillo, politico locale napoletano di notevole peso sul territorio, sequestrato nella primavera del 1981 e per il quale lo Stato mise da parte ogni remora e non si fece scrupolo di fare quello che nel 1978 per Moro non fece. In quel caso lo Stato trattò con le Br, con la Camorra, con chiunque potesse salvare la vita di quel suo politico e alla fine Ciro Cirillo venne salvato. Scomparirà quasi centenario nel 2017.
Le BR fecero trovare a due emittenti – una napoletana, Canale 21, e una romana, Teleroma56, a quei tempi leader televisive nel proprio territorio – la cassetta VHS con l’interrogatorio di Ciro Cirillo. L’emittente romana ricevette una telefonata che la segnalava nascosta in un condotto all’esterno del cortile d’ingresso, il che creò conseguentemente un certo vario movimento. Comunque la trattativa in quel caso ci fu e fu gestita dai servizi interni italiani, il SISMI, con strani interventi come quello di Vincenzo Casillo, detto o’Nirone, camorrista cutoliano DOC che salterà misteriosamente in aria con la sua auto, due anni dopo il rapimento Cirillo, curiosamente a pochissima distanza dalla sede del SISMI.
Memoria chiama memoria, per quel che può servire. Negli Anni 80, scrissi per Ugo De Vita uno spettacolo teatrale che lui poi mise in scena al teatro Olimpico di Roma. Erano anni in cui del caso Moro non si poteva parlare e lo spettacolo – oltre a avere la perquisizione della sala prima dell’inizio da parte della polizia con il controllo di tutti gli spettatori che furono costretti a entrare in sala documento alla mano, caso non molto frequente nella storia del teatro italiano – non a caso non venne mai più replicato. In sala c’era anche Maria Fida Moro con il nipote Luca che era stato uno degli ultimi costanti pensieri del nonno.
Lo spettacolo si divideva in due parti. La prima parte si fondava su uno dei più lucidi e rigorosi discorsi di Aldo Moro alla Camera mentre nella seconda erano le sue lettere durante la detenzione brigatista a esserne il centro. L’ultima lettera si conclude con quello struggente “se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”, scritta quando lo statista aveva ormai capito che il suo futuro terreno sarebbe finito a breve e già si immaginava, lui uomo di fede, altrove.
