Logbook 252 – Il grande farmaco

E così il 21 marzo, per decisione dell’Unesco, è la Giornata mondiale della Poesia. Fa piacere per chi pensa che la poesia, antico farmaco potentissimo, la debba passare la mutua. Ce ne sono di tutti i tipi di poeti e di poesie. Personalmente per quel che può valere – e so di meritarmi insulti pesanti da persone che stimo e che mi stimano – per esempio non reggo Leopardi. La poesia in fondo è roba strettamente personale.

Se qualche giorno fa ritrovavo Gozzano in una giornata torinese di sole, oggi mi torna in mente Giorgio Seferis che ha meritato un Nobel ma non merita da decenni a quanto pare una riedizione italiana delle sue poesie. La poesia non ha giustizia e spesso i poeti – i veri poeti – sono i più ingiusti con se stessi, subito dopo ovviamente i loro editori.

Di alcune cose personalmente sono orgoglioso. Per esempio e per inciso – perchè c’entra poco con la poesia – aver voluto a Rtv, una corrispondente da Kiev, dopo l’invasione russa del 2014, che raccontasse ogni settimana (fino al Covid che rese tutto più complesso) cosa stava succedendo in quella terra, sotto l’indifferenza dell’Occidente che  già aveva tollerato i cimiteri e le carceri cecene, georgiane, bielorusse. C’era certo qualche sorriso ignorante, presuntuoso del solito immancabile imbecille che mormorava “ma cosa può importare a noi dell’Ucraina?” salvo poi scoprire, nel 2022 e  tutto in una volta, cosa può importare una possibile guerra nucleare.

Sono  però altrettanto orgoglioso – tornando in argomento – di avere avuto in prima serata tv per diverse stagioni, grazie a Davide Rondoni, un programma di poesia. Il coraggio di controprogrammare è del più pieno servizio pubblico, una specificità mediatica che deve tenere conto degli ascolti ma non deve mai farsene condizionare perchè sarebbe una bestemmia, un crimine. 

Riprendere dunque in mano un libro di poesia, un poeta rimosso, è sempre un buon modo per festeggiare una giornata importante perchè la poesia è antica quanto l’uomo, sua prima arma, suo primo farmaco.

Hanno termine qui le opere del mare e dell’amore.
Quanti un giorno vivranno dove noi terminiamo,
se mai nereggi alla memoria il sangue e trabocchi,
non ci scordino, deboli anime tra gli asfodeli, volgano verso l’Erebo il capo delle vittime: e noi che nulla avemmo insegneremo loro la pace.

Giorgos Seferis
Traduzione di Filippo Maria Pontani
dicembre 1933 – dicembre 1934

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