Logbook 284 – Com’è profondo il mare

Partito come una scommessa con Alessio, nata davanti a un caffè di Via Principe Amedeo, il programma di Radio Radicale dedicato al Mediterraneo sta ormai superando le venti puntate, una a settimana. Fa piacere e il merito va agli ospiti, molto diversi per esperienze e formazione ma tutti legati al Mediterraneo, e va anche ovviamente a Barbara che segue l’organizzazione e agli operatori radiofonici che si alternano al mixer solitamente il venerdì per registrare il programma.

Al di là di tutto – chi avrà piacere di approfondire l’argomento, troverà il link più avanti – un elemento è comune nonostante la suddetta diversità di cui sopra. Il profondo disinteresse – quando non è una strategia contraria – con cui questo Paese affronta il mare che lo circonda, un mare che lo rende praticamente il molo più particolare del mondo.

Il Mediterraneo è infatti il centro di tutte le rotte commerciali e basti vedere per questo le rotte tracciate delle navi o degli aerei che lo attraversano ogni giorno. È storia, è cultura, è arte e tanto altro oltre che business. È politica ma non solo la politica cannibale dei cosiddetti “sbarchi” che ha messo in discussione una delle leggi più antiche dell’uomo, quella del soccorso in mare comunque, a chiunque, ovunque. Anche l’attuale dicastero dedicato in parte al Mediterraneo è finora sembrato – e almeno a noi continua a sembrare – più una trovata tatticistica interna al Governo piuttosto che un interesse specificato e mirato per uno dei pochi grandi asset italiani. Può essere importante l’apertura di un tavolo con tutti quelli che in vario modo hanno il Mediterraneo come centro delle loro attività ma per una valutazione del tavolo sarà meglio aspettare i primi fatti.

Il Mediterraneo in ogni caso non sta bene e su questo siamo d’accordo tutti. La terapia politica – abbastanza consueta – è quella di ignorare il problema finchè non diventa una emergenza, dopo di che risolverlo come al solito prima spiegando il problema e poi scaricando le responsabilità su altri competitor politici, senza ovviamente concludere nulla, se non una infinita emorragia di credibilità interna e internazionale.

La responsabilità però non è solo politica. I media per esempio non riescono a affrontare il Mediterraneo nel suo insieme, nel suo essere sistema complesso e organico. Lo si spacchetta come fosse un mobile Ikea appena arrivato ma poi ogni pezzo resta incomprensibile a se e agli altri perchè si perde il suo insieme. Così viene fuori un Mediterraneo per gli archeologi, uno per gli storici, uno per gli scienziati, uno per la geopolitica e via di seguito. Manca insomma – cosa realmente tragica – una visione di insieme per una realtà che segna suo malgrado questo Paese per un mare che è determinante alla sua vita stessa. Manca una cultura del mare in Italia mentre si chiudono gli Istituti Nautici e è dovuta intervenire Confitarma con i politici genovesi oltre dieci anni fa – in beata solitudo – per aprire una Accademia della Marina Mercantile che fornisse ufficiali italiani alla flotta italiana. Sui giornali di mare se ne parla come se ne parla e tutto questo è incomprensibile e autolesionista. Forse il primo impegno del ministro dovrebbe essere proprio quello di creare nuovi presupposti per una nuova cultura del mare. Sarebbe il vero giro di boa, tanto per restare in tema.

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