Logbook 291 – Tracce settimanali

Settimana volata via fra Roma e Napoli fra giornali che restano purtroppo prevedibili e tediosi per tifoseria di appartenenza. Sergio Mattarella invece conferma ancora una volta di essere punto cospicuo di questo strano Paese, ricordando che una democrazia, per essere tale, afferma la persona e non cosiddette etnie (per capirsi razze) eccetera. Difende anche il diritto di parlare in un luogo dove si è stati invitati e nel 2023 siamo ancora qui. 

Ci sono state anche, altrettanto tediose, le nomine Rai e lo scandalo della lottizzazione, pensa te. La ex presidente della Rai – ex mia presidente e la ricordo bene – se ne va sbattendo la porta, come sempre con i rumori che la accompagnano. Dice che non è in linea con questo governo e io mi chiedo perchè mai un giornalista del servizio pubblico debba essere in linea con il governo mentre dovrebbe fare solo con correttezza e professionalità il suo lavoro. Insomma, a proposito di Napoli, l’Annunziata – protagonista di un ritratto magistrale di Luigi Mascheroni sul Giornale – se n’è iuta e soli ci ha lasciati, per citare Roderigo di Castiglia e una delle sue battute più feroci. 

Quindi Napoli. Giro con Antonio, guida preziosa e innamorata patologicamente della sua città. Si passa dai Quartieri Spagnoli fino a dove un intero palazzo ospita Maradona. Siamo a Napoli e come noto al centro del viso di Maradona c’è una finestra e anche questo è unico, come tutto in questa città. Così capisco dal vivo, dopo libri e libri, in quel piccolo piazzale che un cartello specifica “privato”, come nascevano le cattedrali medievali. Compro il cappello ufficiale del Napoli per Luigi, a peso d’oro ma la gentilissima fanciulla mi fa scegliere visto che ci sono anche quelli non ufficiali che è un modo tutto napoletano per definire un contesto. 

Scendiamo verso Piazza Municipio e ci sediamo nella piazza. Avrei voglia di un babà al Prencipe quindi ci sediamo guardando il porto in fondo mentre mi racconta delle fontane che c’erano lì una volta. Il ragazzo del bar, un po’ assente, ci dice che i babà sono finiti. Antonio vive la cosa come una cosa inaccettabile, un affronto alla città e ai suoi visitatori. Lo vedo realmente soffrire mentre manifesta con amarezza la cosa alla proprietaria, evasa per un momento dal bar e accasciata su uno dei tavolini accanto a noi. Allarga le braccia e ci comunica, con toni di orgogliosa scusa, che i babà del Prencipe finiscono la mattina in una attimo. Allarga le braccia e mi chiedo ma non le chiedo perchè non ne fanno di più, domanda a Napoli assurda. Rivedo la Napoli di Malaparte in quel gesto e ordino una cedrata.

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