Logbook 240 – Giochi di specchi

Twitter è una rete da pesca in un grande mare. Tiri su e trovi robaccia oppure a volte qualcosa che robaccia non è. Patrizia, presumibilmente di Ischia, riprende dal mai troppo lodato sito “Le foto che hanno fatto la storia”, e rilancia su Twitter una storia nota ma che personalmente non conoscevo o non ricordavo e che fa riflettere.

Daniel S. Sorine è un grande fotografo, grande anche perchè sa che ogni angolo della vita può darti uno scatto che la racconti, se hai gli occhi per vederlo. Central Park, estate 1974, Sorine cammina nel parco. Fa caldo e vede in lontananza due giovani mimi con i loro trucchi che fanno spettacolo per se stessi e per qualche persona presente. Lo colpisce qualcosa nella scena e scatta qualche foto che poi dimenticherà. Meglio ricordare che a quei tempi esisteva la pellicola e gli scatti erano contati, non come oggi che si scatta all’infinito fino a rendere inutile o priva di significato la maggior parte delle foto. Trent’anni dopo, sistemando l’archivio, scopre che uno dei due giovani mimi è diventato uno degli attori più famosi della storia del cinema. La foto improvvisamente cambia storia.

Cose che capitano. A me personalmente capitò – cercandola – di inciampare in una firma particolare, nelle pagine di un registro degli ospiti degli inizi degli anni ‘20, nell’archivio dell’Ospizio del Gran San Bernardo – a 2.473 metri di altezza. La storia la raccontai dapprima su “Mont Blanc e dintorni”, la rivista di montagne valdostane che dirigevo con un uomo straordinario come l’avvocato Pino Crespi, e poi la ripresi in “Di mare, barche e marinai”. La firma in questione era di un giovanissimo sconosciutissimo ospite che si era fermato lì per la notte con la moglie e un amico inglese. Ripartendo aveva firmato con il suo nome, Ernest M. Hemingway, dove M stava per Miller, l’odiatissimo secondo nome che sarebbe comunque durato ancora poco. Erano i primi giorni di giugno del 1922.

In “Festa Mobile ” raccontava di essere passato per il Gran San Bernardo e di averci dormito una notte ma, nel ricchissimo elenco di ospiti illustri che il museo dell’Ospizio esponeva, il suo nome non compariva. Feci qualche domanda e nessuno sapeva nulla di Hemingway al Grande. Così, con una persona che conosce bene, molto bene, il Colle e che mi fece da guida – racchette ai piedi visto che eravamo in gennaio, era fine anni ‘90 – salimmo su e, conoscendo il mese e l’anno, fu semplice recuperare dagli amici canonici dell’Ospizio il relativo registro. Sulla pagina di destra, in un inchiostro ormai marroncino – se chiudo gli occhi lo rivedo con chiarezza come fosse successo ieri – ritrovammo le firme dei tre giovani che arrivavano dalla Svizzera a piedi per poi scendere in Italia, uno dei quali sconosciuto non sarebbe rimasto ancora a lungo.

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