L’ultimo dei teatri di guerra – ormai oltre dieci anni fa – è stato l’Afghanistan, dove (nella collaborazione fra la Direzione Generale della Rai e il Governo italiano) andai come advisor ISAF in diverse missioni, alcune delle quali meritarono persino – lasciandoci letteralmente stupefatti – formali apprezzamenti da parte di americani e inglesi, non esattamente generosi quando si tratta di queste cose. Tutti i luoghi del genere dove ti è capitato di capitare, ti restano inchiodati nel cuore e nella memoria. Facce, storie, immagini che gli occhi fotografano e la mente archivia.
Odori. Impossibile dire quanto siano importanti quegli odori che nessuna telecamera, nessuna macchina fotografica può raccogliere. Odori di gomma bruciata, di benzina, di esplosivi, di decomposizione che prende alla gola, quell’odore che avverti fortissimo nei campi o nelle kebaa africane mentre giri fra una baracca e l’altra. Le mosche e il caldo africani, i mezzi guanti di lana degli snipers nella neve di un capodanno sul fronte serbo – croato, i colpi di kalashnikov o quelli di pistola che segnano il territorio nella notte libanese.
E poi gli uomini e le donne con le mimetiche con cui ti abitui a vivere fino a diventare in parte, in piccolissima parte, parte di loro. Aiuta certo in questo contesto il non dover fare il giornalista perchè l’advisor è una risorsa interna – come le Riserve Selezionate della Legge Marconi – e quindi la diffidenza dei professionisti può a volte scemare rapidamente. Se poi si scopre che non sei né un turista di guerra (conclamati imbecilli, internazionali notoriamente pericolosi a sè e agli altri) né che è la prima volta che ti capita roba del genere, i rapporti si accelerano rapidamente e aiuta anche se in tenda sei fra quelli che russano di più. A Farah un’intera guardia smontante protestò con tre alpini e il sottoscritto perchè effettivamente stavamo un po’ eccedendo nel sonoro. All’inizio ci sono sempre quei momenti di rigoroso esame reciproco che si concludono non raramente con una amicizia forte anche se temporanea. Se poi si scopre in altri tempi di avere frequentato gli stessi luoghi – PX, rifugi e mense compresi – tutto diventa ancora più facile.
I volti con il tempo tendono a sfocarsi nella memoria e le uniformi non aiutano certo a riconoscere quello sguardo che incontri in borghese mentre da Santa Susanna scendi a piedi verso Via Quattro Fontane, dove il mondo militare a Roma è di casa. Uno sguardo perplesso poi incuriosito e alla fine una risata e un abbraccio che raccontano tante cose, normalmente difficili da comprendere.
