Francamente, una conferenza stampa che non prevede le domande dei giornalisti oltre a essere una contraddizione in termini è anche un grande errore politico. Il circondarsi di consenso fasullo, la paura di affrontare altre versione della realtà, il disprezzare una stampa che comunque comunica con il Paese, dividere quel mondo in servi o nemici e tanto altro ancora, sembra incredibile non provochi reazioni o quanto meno indignazione.
Specchio dei tempi, sintomo di una cultura e di una democrazia malata mentre la gente è distratta e diffidente. Teme da sempre il potere, molta parte di questa società e riaffiorano le madri cui Pasolini dedica una delle poesie più feroci della letteratura italiana. La classe politica – non prendiamoci in giro con destre e sinistre, per cortesia – vive di pancia e parla alle pance, condizionata da emotività quotidiane e sondaggi, sempre con l’occhio sull’unica bussola rimasta, quella della prossima scadenza elettorale e poi della prossima e poi della prossima ancora, in una campagna elettorale cronica e parecchio squallida.
Forse sarebbe più semplice, tornando alle conferenze stampa che non sono conferenze stampa, se i giornalisti non partecipassero, quanto meno per una forma di dignità e di rispetto per il proprio lavoro e per le responsabilità nei confronti del loro pubblico. Ci vuole arroganza per zittire la stampa ma ci vuole anche molto coraggio a reagire, a non accettarla quella arroganza che comunque si rivelerà di fatto miope.
