L’Adriatico oggi è senza increspature. Poco vento per le vele, anche alle piattaforme – più o meno a una decina di miglia dalla costa – ma navigare è l’arte di aspettare, di non avere fretta, questa inesorabile maledizione del secolo.
Freddo, molto, ma c’è il sole ed è sempre bello – fin quasi a commuoversi – che in un sabato invernale come questo, in mare ci siano i bambini con gli Optimist. È una scena familiare in qualsiasi porto, che chi va per mare conosce bene. Sono concentratissimi, attenti alla loro barca e al loro istruttore mentre prendono confidenza con il mare e il vento. È facile pensare che, nel momento in cui abbiano conosciuto la forza del vento e del mare – sia pure in piccola parte – la tentazione di andare sul motorino su una ruota sola, come fa qualche loro compagno più grande, non salterà loro neppure in mente. Sanno già chi sono perché per mare è impossibile bluffare.
Il mare insegna tante cose a chi sa imparare. L’umiltà di fronte alla sua immane potenza, l’arte di dominare la paura non potendo dominare gli elementi, la fiducia nella propria imbarcazione che è fiducia reciproca perché la barca di mare ne sa sempre più del suo marinaio, se è costruita a regola d’arte.
Il mare insegna a saper fare equipaggio perché, quando si è tutti sulla stessa barca, giocare da soli è stupido e non paga.
Il mare insegna a immaginare, a inventare, a prevedere, a perdere – si può sempre vincere la volta dopo – e a vincere. Anche questo altro impostore – come la sconfitta, se sai reagire – infatti dura molto poco.
Giusto, giustissimo, dunque abituare i bambini al mare, nonostante la paura atavica che spesso hanno dei flutti moltissime mamme italiane. Il Dio competente avrebbe comunque il dovere di gratificare in qualche modo – veda lui come – Clark Mills che nel 1947 si impose l’obiettivo di creare una barca per i più piccoli che navigasse bene e che non costasse più di cinquanta dollari. Ci riuscì perché gli Optimist sono appunto ottime barche a tutti gli effetti. I loro piccoli skipper e le loro compagne – sempre più numerose peraltro – lo sanno bene, basti vedere la cura che hanno quando le disarmano, le lavano e ripongono le vele. Barche vere, più di altre che, alla fine della fiera, sono una sorta di seconde case al mare, dove la robustezza dello scafo e le sue capacità di tenere il mare sono considerate marginali rispetto al numero dei bagni o dei fornelli.
Le barche. Viene in mente Mannick e Jacques Brel alle sue spalle. Old but gold. Lo usano gli inglesi come mi ricordava un’amica romana qualche giorno fa. Old but gold, vale anche qui per chi conosce delle barche.
Je connais des bateaux
Je connais des bateaux qui restent dans le port
De peur que les courants les entraînent trop fort,
Je connais des bateaux qui rouillent dans le port
A ne jamais risquer une voile au dehors.
Je connais des bateaux qui oublient de partir
Ils ont peur de la mer à force de vieillir,
Et les vagues, jamais, ne les ont séparés,
Leur voyage est fini avant de commencer.
Je connais des bateaux tellement enchaînés
Qu’ils en ont désappris comment se regarder,
Je connais des bateaux qui restent à clapoter
Pour être vraiment surs de ne pas se quitter.
Je connais des bateaux qui s’en vont deux par deux
Affronter le gros temps quand l’orage est sur eux,
Je connais des bateaux qui s’égratignent un peu
Sur les routes océanes où les mènent leurs jeux.
Je connais des bateaux qui n’ont jamais fini
De s’épouser encore chaque jour de leur vie,
Et qui ne craignent pas, parfois, de s’éloigner
L’un de l’autre un moment pour mieux se retrouver.
Je connais des bateaux qui reviennent au port
Labourés de partout mais plus graves et plus forts,
Je connais des bateaux étrangement pareils
Quand ils ont partagé des années de soleil.
Je connais des bateaux qui reviennent d’amour
Quand ils ont navigué jusqu’à leur dernier jour,
Sans jamais replier leurs ailes de géants
Parce qu’ils ont le cœur à taille d’ocèan.
Conosco delle barche
Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.
Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.
Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.

È Il Grande Mare che suggerisce agli uomini l’arte del distinguere tra Krónos e Kairos…sublime arte che Carlo conosce e applica nel navigar trai flutti della vita…