Matteo Miceli con Tanai 3 – lo splendido Outremer 5X di cui è skipper con Corinna, la santa del mare che lo supporta e lo sopporta – e con gli armatori – gente di mare anche loro, il che non è così consueto come si potrebbe pensare – ha appena varcato per l’ennesima volta l’Atlantico.
Praticamente il suo rapporto con questo oceano si può ormai definire molto intimo per le volte che lo ha attraversato, arrivando asciutto da un lato o dall’altro della costa, magari facendo anche un record di velocità, o, qualche volta, bagnato – molto bagnato – tanto da dover ricorrere a diciamo dei taxi di fortuna – tipo una petroliera turca – per ritornare sulla terra ferma. Insomma l’Atlantico ormai per lui è come la natia Ostia – solo più tranquillo – e la barca ora è in rada a Philippsburg, sud di Santo Domingo, in rotta verso il Pacifico. Matteo mi manda una foto di un marlin, pescato miracolosamente la notte di Natale.
Premessa. Io a bordo non pesco per tante ragioni anche se posso capire chi lo fa, soprattutto quando è a qualche migliaio di miglia dalla costa. Ricordo peraltro i miei decenni vegetariani quando non era così diffuso e nei ristoranti i camerieri ti guardavano male se dicevi non-mangio-carne e la risposta regolarmente era allora-le-porto-del-prosciutto. Altri tempi, in cui di fronte a un vegano – allora impensabile – sarebbe stato necessario l’intervento della forza pubblica.
Torniamo a oggi e al marlin di Matteo, sogno di tutti i pescatori oceanici. Lo avevo visto sempre e solo in foto, solitamente accanto a un energumeno barbuto e soddisfatto anche se con lo sguardo triste regolarmente altrove. Nei suoi racconti, nei suoi libri, i marlin sono protagonisti, una sorta di Moby Dick personali. In “Di mare, barche e marinai” – il libro che Mursia ha pubblicato in una collana che ancora mi emoziona – ho parlato a lungo di Hemingway, del nostro incontro su al Grande, 2.473 metri oltre il livello del mare, ma anche della Pilar – la sua barca da pesca – e del suo andare per mare quindi già dato. Però vedere il marlin realmente nelle immagini del Tanai 3 fa veramente effetto. Torna alla mente il vecchio Santiago e il suo fish, con cui dialoga ininterrottamente fino a quando gli squali glielo consentiranno. In sintesi un capolavoro non solo della letteratura del secolo scorso ma in assoluto.
Conosco un padre che costrinse praticamente il figlio a leggerlo a dodici anni e, conoscendolo, penso sia stata una delle pochissime imposizioni che abbia fatto ai figli. Aveva ragione e il figlio oggi è il primo a riconoscerlo. Il vecchio, nel libro, combatte perché non ha alternative alla vita e c’è un grande rispetto per il pesce, “il Pesce”, nella sua lotta con il gigantesco marlin, grande quanto la sua piccola barca. “Tieni la testa lucida e fa vedere come sa soffrire un uomo. O un pesce, pensò” scrive durante la lotta in cui il vecchio finirà vincitore e vinto al tempo stesso. Come peraltro accade di solito.

Grande Carlo, Leggo con piacere i tuoi articoli e mi incantano le storie di vita vissuta, narrate con il tuo proverbiale piglio accattivante. Un abbraccio. G.
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