Un vecchio saggio amico – il cui carattere peraltro non raccomanderei a nessuno – sosteneva che l’odio è roba da stronzi. In questi casi si generalizza sempre un po’, certo – così come quando si dice che l’invidia è caratteristica dei falliti – però anche nelle generalizzazioni una parte di vero, a volte anche piuttosto consistente, la si può ritrovare.
Sono tempi questi di odio, di rabbie represse e non, mentre quotidianamente si avvicendano, in cronaca e sul web, episodi agghiaccianti che vedono protagonisti odiatori di tutte le età. La cosa più strana è che nelle comunità più povere, più difficili, in giro per il mondo, l’odio raramente in qualsiasi sua forma si manifestava o si è manifestato, almeno a me. Le comunità povere sanno infatti che la solidarietà reciproca è l’unica cosa che li può difendere, li può salvare. Uno strumento certamente difficile da creare ma usato anche come arma perché, di fronte alla forza di un gruppo compatto e solidale, è molto difficile fare breccia.
La legge del mare, per esempio, impone – prima per cultura e tradizione poi per legge – la solidarietà in mare, dove tutti sono anelli deboli di una catena che circonda i continenti. Il Mayday coinvolge comunque e sempre – e peraltro obbliga – ogni marinaio che sia in navigazione. Sarà lui a decidere se può e se deve intervenire o meno. Ne risponde davanti alla sua coscienza in primis e poi davanti alla legge se non lo facesse. È appunto la prima legge del mare, anche perché l’aiuto che oggi puoi dare, domani potresti avere urgente necessità di riceverlo.
Solidarietà dunque – solida, appunto – e mi viene in mente una delle persone incontrate – pochissime, ragionevolmente – su cui posso arrivare a comprendere il concetto moderno di santità. Lui meriterebbe francamente una nomina a senatore a vita o un cardinalato – ammesso che non lo sia fra quelli in pectore papalis – anche se conoscendolo, per lui queste sono povere cose, letteralmente, sono l’ultimo dei problemi anche perché in realtà lo dovremmo a noi stessi più che a lui. Una vita sotto scorta – una scorta, anzi delle scorte che per lui darebbero veramente la vita con convinzione, lo vidi una sera mentre cenavamo a Torino in una piccola trattoria a lui familiare – e con la prima parrocchia affidatagli dal suo vescovo, appena ordinato sacerdote, una strada fra le più tragiche di Torino in un periodo tragicissimo. Poi il Gruppo Abele e Libera e la lotta rigorosa, intransigente, concreta alle mafie. Quante volte l’ho sentito parlare di quella “linea grigia” di indifferenti per convenienza o viltà grazie ai quali la criminalità organizzata prospera. Il suo messaggio di Natale agli amici auspicava che “il Natale sia luce durevole di Impegno e di Speranza, capace di illuminare anche il cammino di chi vive nella sofferenza e nell’ingiustizia. Luigi Ciotti”.
Sono contento che mio figlio si chiami come mio padre ma anche come lui. Punti cospicui. Appunto.
Discorso di don Luigi Ciotti in occasione della cerimonia per il 70° anniversario del rastrellamento nazifascista in Cansiglio
Oggi non è venuto qui don Luigi Ciotti; sarebbe la più grande sconfitta della mia vita. Io ho cercato con tutte le mie fragilità e i miei limiti, che sono tanti, ma anche credo con gioia e con passione, di costruire in questi anni un noi, non un io. È il noi che vince. Non è opera di navigatori solitari… Il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi. Anche noi possiamo essere un segno di speranza e di cambiamento. È un noi, un noi. Io sono qui perché tanti altri stanno facendo, in realtà e in contesti diversi. È in questo senso che dico questo noi.
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