Così è trascorsa un’altra Giornata della Memoria. È trascorsa con un ragazzino di dodici anni, pochissimi giorni fa, aggredito da due sue coetanee al grido “Devi bruciare nei forni”. È trascorsa con i Savoia che chiedono la restituzione dei gioielli di famiglia, scatenando la penna di Gian Antonio Stella che ricorda i beni delle famiglie deportate, beni scomparsi e mai risarciti, grazie alle leggi razziali firmate da Casa Savoia. È trascorsa fra gli insulti e commenti pesanti dei negazionisti in quella fogna a cielo aperto che spesso sono diventati i social.
Quando a Elie Wiesel alcuni giornalisti hanno chiesto se pensava che sei milioni ebrei uccisi dai nazisti potessero avere un senso storico, rispose ragionevolmente “Spero proprio di no”. In effetti che senso può avere tutto quello che è stato inserito nella parola “Olocausto”? Eppure ancora oggi quella mancanza di intelligenza che è il razzismo circola ovunque sul pianeta dalle scuole bene con i loro bulletti, agli stadi, alle carceri, alle etnie di ogni natura e specie che si affrontano in quanto tali e spesso si distruggono o tentano di distruggersi a vicenda. Il razzismo circola ovunque. Non c’è luogo in cui non se ne possano trovare tracce più o meno evidenti, purtroppo.
In fondo, per chi lo ha vissuto, è ben chiaro quanto è successo agli inizi degli anni ’90 nella Yugoslavia dove noi neppure dieci anni prima andavamo in vacanza in moto, perché si spendeva nulla, il mare era splendido e la gente gentile. Una folata di vento e la guerra ha fatto esplodere razzismi feroci. Srebrenica diventa una Auschwitz più recente e forse meno tecnologica, anche in questo sotto gli occhi di fatto complici dell’Onu che lì aveva anche le sue truppe, inchiodate nelle caserme mentre migliaia di persone – povera gente – venivano sterminati in base solo alla loro identità o presunta tale perché poi, tornando ai beni degli ebrei rubati in Italia durante le leggi razziali, qualche piccolo o grande interesse il razzismo lo persegue sempre.
Niente da fare? No anzi non vince mai anche se fa parecchi danni perché l’intelligenza e la cultura, pur continuando a essere una componente minoritaria, in ogni società finiscono per prevalere. Bosnia e allora Mostar e allora Marco Luchetta – che quest’anno avrebbe compiuto settant’anni – morto il 28 gennaio 1994 con gli altri della sua troupe, Saša Ota e Dario D’Angelo, che salvano un bambino di sette anni da una bomba, praticamente gettandolo nel rifugio del cortile fra i palazzoni titini. Una lapide li ricorda e con Stefano Belardini, una volta che riuscimmo a lasciare Sarajevo, andammo a cercare quel cortile. Nella sua telecamera forse ma nella nostra memoria sicuramente quel cortile resta. C’è speranza perché loro erano persone normali che si sono trovati a fare una cosa straordinaria. C’è speranza perché forse, nei momenti peggiori, torna il mare che lava le ferite del mondo – basta rileggere quanto ha voluto Marco Luchetta che fosse scritto dove riposa. Una vecchia poesia di Cardarelli.
“Gabbiani” di Vincenzo Cardarelli (1932)
Non so dove i gabbiani
abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua
ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi
amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

