La scomparsa di Monica Vitti è una scomparsa particolare. È accaduta tanto tempo fa e questi venti anni di assenza in vita segnano una delle pochissime persone infatti che ha avuto la fortuna di non mostrare la decadenza del tempo. Ovviamente non si parla delle rughe che sono le cicatrici – quindi l’orgoglio – della vita ma della lenta e impietosa scomparsa della dignità (come troppo spesso accade ai soggetti deboli, spietatamente esibiti da media feroci).
La dignità peraltro è stata anch’essa protagonista di questa settimana nello ormai storico intervento del Presidente della Repubblica Mattarella, incentrato proprio sulla dignità dei più deboli e sul rispetto loro dovuto. C’è grande dignità nello scomparire in ombra, lasciando soltanto in dono le sue immagini, la sua voce. Sono doni fuori dal tempo e dallo spazio, privilegio dei grandi attori, e Monica Vitti lo è stata realmente, passando con arte come tutti i grandi dal tragico al comico che è peraltro molto più difficile. Far piangere è sicuramente più facile che far ridere – al cinema come in teatro come nella vita. Non è un caso che i comici non vincono gli Oscar e gli scrittori che fanno ridere o sorridere – grande cruccio di Andrea Camilleri – trovano spesso snobismo e sufficienza cialtrona nelle terze pagine dei giornali.
Proprio nel corso della rassegna stampa della settimana scorsa, di fronte al sorriso di Monica Vitti che ogni giornale esibiva, mi è capitato di citare un brano televisivo di inizio anni ’70, rigorosamente in un magnifico b/n. Si tratta di Crauti, una canzone dove mise le mani Mario Pogliotti, genio assoluto della televisione e del cabaret. Con lui ci incontravamo ad Aosta trent’anni fa – era già in pensione ma attivissimo – dove era andato a fare il caporedattore, presentatomi da Maria Luisa Di Loreto, una delle migliori registe Rai nonché, notoriamente, uno dei caratteri più infernali del servizio pubblico e sì che di questo me ne intendo. Pogliotti era anche stato uno degli inventori di Non Stop, programma di raro coraggio. Fu il programma che lanciò Massimo Troisi e La Smorfia, Carlo Verdone e tanti altri. Tornando a Crauti, la canzone è un documento straordinario per la maestria di attrice di Monica Vitti ma anche perché nel 1971, cioè in tempi di divorzio e di referendum, riascoltare questo brano interpretato da una donna, sul canale unico televisivo (il che voleva dire arrivare a tutto il Paese e arrivarci direttamente) era di fatto rivoluzionario. Monica Vitti pochissimi anni prima era stata la protagonista di La ragazza con la pistola e la soluzione estremizzata di donne che cominciavano a denunciare – sia pure con il pretesto narrativo di difendersi – era sconvolgente. Certo, era una denuncia di ogni violenza nei confronti delle donne e Monica Vitti quella sera, sia pure fra le risate, raccontava anche questa chiave di lettura.
Il femminismo caratterizzerà poi gli anni ’70 – e non a caso – ma questo brano di cabaret, apparentemente capolavoro di non sense, ha veramente molte chiavi di lettura. Nel 2021 è stata uccisa una donna ogni tre giorni, ci dicono fredde statistiche. Sono passati oltre cinquant’anni da quella denuncia travestita da gag, come non è raro accada. Ci vogliono generazioni per cambiare i tessuti sociali e Monica Vitti con il suo cinema, la sua tv, è ricordata anche per questo e non solo dalle donne.
