Ieri il mondo festeggiava la Radio e la sua Giornata internazionale. Aveva peraltro ben ragione di farlo. La radio visse per prima, da brava progenitrice, la diffusione di massa che avrebbero avuto poi la tv e ancora di più il cellulare. Data per morta tante volte, ha sempre ripreso terreno sui suoi competitor per tante ragioni. Un ascolto caldo, per dirla con gli esperti, e non freddo come la tv. Un ascolto fedele e non condizionato dal frenetico tastierismo del telecomando. Le batterie che consentono anche in caso di emergenza, quando non c’è corrente per esempio, di avere comunque un collegamento con il mondo. Soprattutto oggi l’ascolto in viaggio dove il DAB ha rivoluzionato la qualità del suono. Inutile poi dire che per esempio sul mare, ancora oggi, senza la radio si rischia nel senso più proprio del termine.
La radio per me è sempre stata il grande amore anche se le ore in tv – migliaia e migliaia in quarant’anni – sono molte di più di quelle radiofoniche. Gli studi RF si avvicendano nella memoria. Il primo, a Via di Villa Pamphili, prima sede di Radio Radicale, erano due stanze al secondo piano e di fronte una pasticceria dalle leggendarie pizzette. Poi arrivarono, nella primavera del 1979, i locali di Via Principe Amedeo 2 e qui è doveroso un inciso. La Pensione Oltremare, abbandonata dalla Banda Koch alla metà del 1944, per qualche decennio non aveva potuto trovare nuovi inquilini. Quando la prese Radio Radicale, le tracce di quello che era stato uno dei più orribili luoghi romani del nazifascismo dava ancora segno di sè. Ancora oggi peraltro certe tracce a occhi esperti, risaltano. Pilo Albertelli, Maurizio Giglio, per citare due nomi cioè quello di un insegnante di greco e di un poliziotto, un uomo di cultura e un agente dei servizi alleati, morti entrambi alle Fosse Ardeatine, sono solo due dei tanti nomi che si potrebbero fare fra gli ospiti di quell’attico. L’ascensore ragionevolmente a quei tempi non c’era e Luchino Visconti è facile immaginare, quando venne arrestato e portato lassù, i cinque piani se li fece a pugni e schiaffi, tanto per citare, e forse anche qualche calcio. Visconti, tanto per chiudere la storia, restò poco e alla fine riportò a casa la pelle. Confesso che all’alba quando apro la porta degli studi con i giornali sotto braccio per la rassegna stampa, il pensiero mi capita che torni a tutte quella persone, massacrate lì dentro, e francamente sono contento che, dove c’era quel che c’era, oggi ci sia una storia onorata e riconosciuta di svariati decenni di lotte per la libertà e la giustizia, per il rispetto degli individui e delle minoranze. Sembra quasi che sia una risposta, sia pure tardiva, al dolore di quelle persone che sono morte con la paura profonda che il loro sacrificio fosse inutile e che avrebbe potuto vincere la Bestia. Non fu così. Se esiste il genius loci dei Romani, sarebbe suo compito e responsabilità testimoniarlo.
Tornando agli studi radiofonici, ci furono sia pure saltuariamente anche gli studi di Radio Alice e di Radio Città Futura a Piazza Vittorio prima che Piazza Vittorio diventasse Chinatown, prima persino che ci si potesse immaginare che sarebbe diventata Chinatown. Poi gli improbabili studi Rai di Via Chambery ad Aosta dove il più giovane direttore di sede Rai si aggirava incuriosito fra i revox e i nastri mentre già si incominciava a intravedere il digitale. Seguirono gli studi di un’altra sede Rai amata molto anch’essa. Bologna e via della Fiera dove diedi il cambio a Fabrizio Binacchi che partiva per dirigere il Centro di Produzione di Milano e cui avrei restituito le consegne due anni dopo per tornare a Viale Mazzini a occuparmi di sociale. Poi Via Asiago, che ha visto nascere molte campagne di comunicazione sociale istituzionale – una intera mattina con Attilio Maseri che fu il cardiologo di due papi della Regina Elisabetta – e infine gli studi sammarinesi di Rtv, che al mio arrivo mi lasciarono – devo ammetterlo – profondamente perplesso e parzialmente depresso. Fu dunque uno dei primi obiettivi quello di rendere quegli studi adeguati a una radio di servizio pubblico. In quasi dieci anni in quegli studi ci inventammo cose molto belle. Le finali sammarinesi dell’Eurovision Song Contest, Radio Tutti e tanti altri prodotti.
Insomma e per chiudere, la radio è uno dei punti fermi del mio viaggio e ancora adesso che rimetto il microfono a archetto come trent’anni fa, per evitare i colpi dei fogli sul Sennheiser di studio, mi sento in pieno nostòs, e non é male. La radio insomma non sparirà perché è più veloce, più intelligente della TV e poi in radio può capitare di tutto perché la fantasia viaggia insieme alla sperimentazione, dove le voci sono protagoniste. Le conversazioni di Maurizio Costanzo e Dina Luce a Buon Pomeriggio, Alto Gradimento, Radio Montecarlo di quel genio assoluto di Herbert Pagani, tanto per ricordare cose conosciute perché il bello della radio è che può capitare di tutto se sei in onda e persino un trapano può fare incomprensibilmente notizia (vedi Ansa e Il Fatto Quotidiano). That’s the radio, baby!
