Si concludono così anche queste Paralimpiadi 2022, post Covid (forse) con una guerra dichiarata in corsa. È stato comunque un successo. L’Ucraina ha fatto il pieno di medaglie e ha difeso la sua immagine e la sua tradizione in un momento delicatissimo e nei limiti del possibile, tenendo sempre conto che un medagliere olimpico non lo improvvisi. In Italia poi è stata definitivamente sdoganata l’immagine degli atleti con disabilità. Sembra una cosa normale ma Luca Pancalli ricorda bene cosa voleva dire trenta anni fa mandare in onda immagini di atleti disabili, quei rarissimi momenti in cui anche per sbaglio poteva accadere. Fu una grande battaglia, molto difficile, a viale Mazzini far capire questo a certi esperti di comunicazione che continuavano a confondere l’aspetto sportivo con un aspetto sociale peraltro improprio.
Toccava ripetere all’infinito che il problema non era delle redazioni legate al sociale ma semmai delle redazioni sportive. Gli atleti paralimpici erano e sono atleti a tutti gli effetti, come ormai noto ma farlo fu una vera e propria battaglia. Determinanti furono le Paralimpiadi invernali 2006 a Torino. Un’organizzazione fantastica con Torino che ci credette fino in fondo e fu una persona unica come Tiziana Nasi a gestire per quattro anni una macchina complessa e incredibile. La cerimonia inaugurale trasmessa dalla rete olimpica Rai fu un successo, nonostante per arrivare a quella diretta ci furono pesantissimi conflitti interni dietro le sbarre di Viale Mazzini.
Oggi è tutto più semplice ma occorre ricordare e lo ricorda bene ancora Luca Pancalli nel suo libro, bellissimo, cosa erano le Paralimpiadi per l’Italia venti o trenta anni fa. Una delle più grandi campionesse olimpiche italiane, Francesca Porcellato lo racconta ancora oggi sorridendo quando una signora anziana vide in aeroporto la squadra paralimpica partire per Seul e chiese se per caso stavano andando a Lourdes. È tutto un problema di prospettiva come sempre. Una persona alta due metri e dieci era a tutti gli effetti un disabile grave, un fenomeno da baraccone nel senso più proprio del termine. Un giorno però nel 1892, un insegnante di ginnastica di nome James Naismith, per tenere buoni i suoi studenti, si inventò un gioco con due cesti in alto e un pallone. Paradossalmente insomma il basket è – o dovrebbe essere – uno sport paralimpico a tutti gli effetti perché gli atleti tranne qualche rarissima eccezione – peraltro non sempre apprezzata nell’ambiente – raramente stanno sotto i 2 metri. Insomma tutto è relativo, tanto per restare sui disabili cognitivi, visto che Albert Einstein venne considerato disabile cognitivo fino alla sua adolescenza.
