Luigi Comencini moriva il 6 aprile del 2007. Quindici anni fa esatti, se non facciamo male i conti, e sono quindici anni in cui i suoi film continuano a girare, a farsi vedere, fra lagrime e risate. Si definiva un artigiano ma qualsiasi genio – e lui lo era – deve la sua realizzazione alla propria formazione artigiana perchè senza quella formazione artigiana non ci sarebbe stato nessun capolavoro.
Era il cinema in bianco e nero, figlio della guerra e di quelle cineprese militari – residuati bellici ancora utilizzabili – che non riprendevano il sonoro. Furono proprio quelle cineprese peraltro a lanciare le scuole di doppiaggio, altro artigianato raffinatissimo che anche lui ha prodotto dei geni. Per tutti basti citare i doppiaggi di Anna Marchesini, di Massimo Lopez, di Tullio Solenghi che sono genialità pura, nel loro contesto, e che alle spalle avevano ore e ore artigiane, con la cuffia in testa e gli occhi sul labiale di attori che non raramente erano dei cani, soprattutto con le telenovelas dilaganti.
Un giorno Ferruccio Amendola, sommo genio del doppiaggio, mi raccontò l’unico momento di tutta la sua carriera, in cui si levò la cuffia e la sbattè per terra. Doppiava Dustin Hoffman che in Tootsie scende una scala e – mano a mano che scende – il suo personaggio rivela di non essere una donna ma un uomo. Una scena incredibile, difficilissima, in cui devi cambiare voce ogni gradino, mi diceva sorridendo perché la sfida anche lui l’aveva vinta come Hoffman.
Artisti, insomma. Perché l’arte è eterna e ogni giorno attuale. Luigi Comencini era un artista vero e il tempo – come per tutti i veri artisti – arricchisce la sua opera. Così ritrovo nella mia memoria uno dei più bei suoi film in cui un giovane ufficiale romano un po’ cialtrone – la maschera non può che essere quella di Sordi – e il suo attendente vivono il 9 settembre e la rotta dei soldati italiani, abbandonati a se stessi, in un road movie che li fa arrivare fino a Napoli in un momento particolare. Proviamoci a rivedere, a vedere, quella scena finale oggi. Oggi.

Gia’. Non si puo’ stare sempre a guardare.