Il prossimo 9 maggio rientra ormai in un agghiacciante countdown in cui Putin cerca di organizzare il suo trionfo per girare una frittata già sufficientemente bruciata. Gli servono quella data gli ultimi cadaveri di Mariupol – Sarajevo, Termopili, persino Alamo eccetera – e magari qualche soldato incatenato al carro, secondo la migliore tradizione dei trionfi antichi. Gli servono poi – il verbo è quanto mai appropriato – stampa e comunicazione di regime sia in Russia che fuori per dichiarare che la guerra persa a oggi (e persa male) è stata vinta. Gli serve anche una diffusa anima grigia occidentale che, sulla pelle degli ucraini, si preoccupi del proprio spesso non esaltante ombelico, per paura di quel che potrebbe succedere e che probabilmente succederà comunque anche se l’Ucraina si arrendesse.
Mi sono spesso chiesto – stupido come sono – come avrei reagito se avessi vissuto negli anni Trenta, se insomma avessi visto la nascita di Hitler e poi il suo percorso che in meno di venti anni avrebbe cambiato il mondo. Intendiamoci, non l’Hitler del dopoguerra – il mostro acclarato, l’orrore puro – ma l’Hitler anteguerra, grande statista, grande leader, lui sì che sa governare e poi in fondo i Sudeti sono lontani e se li prendesse pure.
Così lui se li prese e, come ampiamente previsto, si prese anche il resto, o quanto meno ci provò. I Sudeti perché in fondo – come ripetono gli istruttori dei marines alle loro reclute con la raffinatezza poetica che li caratterizza – una scusa, un pretesto, sono come il buco del culo, tutti ne hanno uno. Un pretesto per dichiarare una guerra insomma lo si trova sempre e se non lo si trova lo si può sempre costruire.
In tutti questi anni abbiamo visto Putin omaggiato dal politico occidentale di turno mentre molti dei giornalisti che oggi strillano sui social, esigendo il suo e non solo il suo sangue, si erano guardati bene dal leggersi il libro di Anna Politowskaja, dove quindici anni fa c’era già scritto tutto. Tutto.
Politici affascinati dallo zar e giornalisti astutamente distratti (quando non palesemente conniventi) hanno contribuito per anni alla situazione di oggi. Ora è forse un po’ troppo facile scendere nelle piazze mediatiche per far volare impotenti sassate tardive. Ognuno poi, se vuole, si valuti per suo conto se ha la coscienza completamente a posto in questa vicenda. Di politici ce ne sarebbero pochi anzi pochissimi e magari non sarebbe difficile, passando dai piani alti del cimitero di Teramo, sentire un sussurro incazzato che ripete, tanto per cambiare, “ve lo avevo detto, lo potevate sapere, lo dovevate prevedere”. Quelli poi che vedevano, subito dopo l’invasione del 2014, la marea montante, nei media italiani e non solo, reggere bordone alle “ragioni” putiniane – a pagamento e forse neppure stupirebbe, visto che il fiume dei rubli verso l’Italia ha un corso antico – hanno fatto e facevano quel che potevano perchè si potesse ascoltare, nell’assordante clamore putinofilo, anche la debole voce ucraina, allora fuori moda. Ma che ci frega a noi dell’Ucraina, si diceva a quei tempi.
Resta comunque il fatto che Davide contro Golia ha già vinto almeno una volts e forse può vincere ancora con la solidarietà di tutti. A proposito, sarà un caso ma il 9 maggio in realtà non è il giorno del trionfo di Putin ma è invece ufficialmente la Giornata dell’Europa, in ricordo della Dichiarazione Schuman del 1950 che recita testualmente “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.” 1950, un bambino nato quell’anno avrebbe oggi settant’anni e passa mentre noi siamo ancora lì.

Bravo! Bellissimo pezzo.