Logbook 74 – Libertà di informare, libertà di sapere

Anna Politkovskaja la Russia di Putin l’aveva già raccontata quasi vent’anni fa, prima che le sparassero mentre rientrava a casa. Bastava leggerla. Si era già più che intuito infatti – almeno per chi voleva vederlo – cosa era, cosa sarebbe diventata la Russia con Putin. Lei e i colleghi come lei sapevano perfettamente cosa rischiavano e decidevano di rischiarlo per evitare tragedie peggiori. Oggi però il rumore delle chiacchiere del teatrino italiano dei pupi e pupetti televisivi – ma i burattinai si cominciano a intravedere chiaramente – copre purtroppo altre storie di giornalismo orgoglioso, rigoroso, coraggioso, corretto che pure ci sono.

Così ieri è passata la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa 2022, dedicata a quel giornalismo che – costi quel che costi – dice la verità, dopo averla verificata e in piena correttezza professionale e onestà intellettuale, sapendo cosa comporta in certi casi. Ma è anche un giornalismo consapevole che non può esserci libertà – non può esserci libertà – all’interno di una collettività che non si sia munita di strumenti (pubblici, comuni e credibili) atti a scoprire le menzogne. La libertà di stampa non dipende solo dai giornalisti ma coinvolge tutto il tessuto sociale – dalla politica al mondo delle imprese e del lavoro a ogni singolo cittadino – perché dove non ci sia libertà di essere informati non è possibile nessuna forma di libertà.

Non sono infatti i morti, il sangue, gli agitatori, il segno che preavvisa ombre di guerra ma l’accumularsi delle menzogne pubbliche, l’esplosione da tutte le parti di parole che ingannano – a volte per pura penuria di intelligenza – formando le crepe inarrestabili che la fanno presagire. Da un turbinare di menzogne e di maschere – scrive de Unamuno nella Madrid del 1933 – una società civile può essere precipitata nell’illegalità cieca, o addirittura nelle tenebre di un contendere mostruoso, capace di farci dimenticare le ragioni dell’umanità.

Così, ancora una volta, ancora ieri, mi è tornato in mente – e sono certo che anche per Vince Di Dato e per Stefano Belardini è stato così – le giornaliste e i giornalisti con cui abbiamo lavorato a lungo, ormai più di dieci anni fa, a Camp Vianini, nel centro di Herat, in quell’aula saltata poi per aria – e forse anche per quello – con un camion pieno di esplosivo. Oltre cinquanta giornalisti afgani – bravissimi e di tutte le età e di tutti i media, dalla radio alla tv, dal web alla carta stampata – affollarono quell’aula per molte ore al giorno. Oggi noi non sappiamo come loro vivono, come possono vivere e neppure se vivono ancora, braccati come sono dai talebani che, come in ogni regime ovunque e da sempre, vedono il giornalismo libero e coraggioso come la più grave delle minacce, come il più pericoloso dei nemici. 

Allah yusallmak, cari amici – Allah o chi per lui vi protegga – per il vostro coraggio e per ciò che avete fatto e che fate, ovunque voi siate. Passerà anche questo.

Una opinione su "Logbook 74 – Libertà di informare, libertà di sapere"

  1. Grazie per ricordarci che esistono Giornalisti con la g maiuscola, Carlo. Ne abbiamo davvero conosciuti tanti. e questo alimenta ancor di piu’ la rabbia quando vediamo che nelle privilegiate e confortevoli TV italiane, ben pagate bocche della propaganda si permettono di infangare il lavoro dei loro colleghi e l’intelligenza delle persone per bene. Una tessera da giornalista evidentemente non fa di un individuo un – o una – giornalista. Non solo quei reggimicrofono non darebbero la vita per la liberta’ e la democrazia, ma non si fanno scrupoli a speculare sulle vite di altri. E, aggiungo, esistono psyops buone e psyops cattive. No, non si tratta di distinguerle per il colore ideologico. Ma e’ particolarmente evidente chi sta dalla parte dei Giusti (come dicono gli Ebrei) quando una parte rispetta le regole di convivenza civile internazionale e l’altra massacra civili inermi e istituisce campi di concentramento, proprio e peggio di circa 90 anni fa. Quando una parte lascia che comunque nelle proprie televisioni si faccia a pezzi la propria democrazia e dall’altra si eliminano i giornalisti scomodi. E no, la NATO non ha fatto mai quello che hanno fatto le forze armate russe, non solo in Ucraina. Mai abbiamo bombardato deliberatamente quasi un centinaio di ospedali (piu’ quelli in Siria) e centinaia di scuole, piu’ un teatro con civili dentro. A Nassiriyah, mentre ci assediavano nella CPA nel 2004, i militanti del Mahdi Army ci sparavano dal tetto dell’ospedale. Secondo le convenzioni del diritto internazionale potevamo rispondere al fuoco. Non un colpo e’ stato sparato in quella direzione. Non uno, a rischio delle nostre vite, per non compromettere quelle dei civili che erano li’ dentro. Un augurio, per quei giornalisti che hanno dato le loro vite per la giustizia e la verita’, dalla Politkovskaya ai nostri amici di Herat: per uno di voi caduto, ne sorgano altri cinque. O altri mille,

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