Le cose, si sa, quando nascono non sempre fanno intravedere cosa diverranno. Ritrovare l’Umbria Jazz in un vecchio pezzo della fine degli Settanta può rappresentare un buon esempio. Il giornale era l’Ora di Palermo dove scrivevo qualcosa ogni tanto e, in questo caso, l’occasione era stata un salto all’Umbria Jazz, in quegli anni agli inizi, molto amato ma anche molto osteggiato.
Oggi infatti l’Umbria Jazz è un evento internazionale ma allora era diverso, molto diverso. Arrivavano grandi artisti che muovevano un pubblico giovane e di nicchia, ricco di idee e di cultura ma povero di soldi. Questo non piaceva molto a commercianti, politici, imprenditori locali – impauriti forse dai fantasmi di Parco Lambro, che poi era tutt’altro – e le polemiche erano infinite. Gli artisti che arrivavano erano sconosciuti a chi non si occupava di jazz – anche se erano stelle internazionali – e quel che si notava di più erano piuttosto sacchi a pelo e capelli lunghi e autostop e un panino in tre. Chiaramente l’accoglienza non era delle migliori.
Poi le cose cambiarono. Lentamente, l’Umbria capì che quell’evento stava diventando un incredibile volano internazionale. I grandi jazzisti tornavano a casa e parlavano dell’Umbria, di Perugia, di Gubbio, di Spoleto – in realtà già internazionale di suo con il suo Festival – insomma era l’Umbria.
Le polemiche dunque ci furono – e forti – a quei tempi e chi c’era lo ricorda bene. Vero è che oggi può fare sorridere quella pagina ingiallita di allora, incerta sul futuro di Umbria Jazz cioè di quello che è oggi uno dei più famosi eventi internazionali e fra pochissimo invece compirà cinquant’anni. Fa piacere che ce l’abbia fatta con i suoi artisti e la sua gente, forse anche grazie a quelle durissime salite per sopravvivere, peraltro assolutamente tipiche degli Anni Settanta.
