Logbook 133 – Porte e portoni

Era ormai da quasi un anno che lavoravo in Valle d’Aosta e la casa dove sarei dovuto andare ad abitare non era ancora pronta. Soliti ritardi dell’impresa che mi chiedeva di pazientare ancora un paio di settimane. La pazienza fa parte del paesaggio in montagna quindi non feci problemi.

Bruna aveva un piccolo delizioso albergo di famiglia sopra Courmayeur. Era una delle prime persone che avevo incontrato al mio arrivo ed eravamo diventati amici. Quando seppe della vicenda, mi disse di non farmi problemi. L’albergo era chiuso per ferie e se volevo mi avrebbe lasciato le chiavi mentre lei si godeva la sua Valle d’Aosta. Era solo per qualche giorno e fu un bel gesto di amicizia valdostana – la più esigente ma anche la più forte – e Bruna la Valle d’Aosta la aveva nel sangue da generazioni e generazioni vissute all’ombra del Bianco. 

Proprio in quei quei giorni vennero a trovarmi degli amici che avevano lavorato con me a Roma. Erano di passaggio e mi faceva piacere rivederli. C’era Alfonso con cui avevo condiviso la guerra serbo croata e con lui c’era Marco, romanissimo ma con un cognome assolutamente valdostano con tanto di z finale. Suo nonno aveva lasciato la Vallèe, come tanti altri valdostani in cerca di lavoro e di fortuna, all’inizio del secolo scorso. Dopo aver vagato per il mondo, si era stabilito definitivamente a Roma. Marco – come suo padre – non aveva mai visto la Valle d’Aosta ed era la prima volta che metteva piede nella terra dei suoi nonni e dei nonni dei suoi nonni.

Quando loro arrivarono, quella sera c’era anche Bruna che era passata a vedere come me la cavavo. Eravamo davanti all’ingresso di servizio – quello cosiddetto degli sci, usato per l’appunto dagli sciatori – dove entravo solitamente, visto che aprire la grande porta principale non era semplice, quando l’albergo era chiuso.

La loro auto entro nel piazzale che era ormai sera. Scesero e io li presentai a Bruna. Quando fu il turno di Marco, dissi il suo nome e lei guardò me poi lui poi di nuovo me poi quasi d’istinto corresse la pronuncia del cognome, spostando l’accento dove doveva stare quindi gli chiese informazioni. Marco allora le raccontò di suo nonno e che né suo padre né lui erano poi mai stati in Valle d’Aosta. 

Io nel frattempo stavo per aprire la porta di servizio dell’albergo per entrare e farli entrare. Lei – valdostana – mi levò allora drasticamente le chiavi di mano, tirando fuori contemporaneamente un altro mazzo di chiavi dalla tasca della giacca a vento. “Oggi si entra dall’ingresso principale”, disse, indicando Marco mentre si avviava decisa ad aprire il grande portone.

Ci guardammo tra noi, mentre il Bianco in alto era ormai tutto in ombra e Marco aveva una strana espressione sul viso.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: