“Roma 1943” è un grande libro di giornalismo e di storia. Paolo Monelli che i giornali del tempo definivano “il re degli inviati” racconta, dall’interno e a distanza di poco meno di un anno, quei dodici mesi che lacerarono in due l’Italia e la lacerazione era rappresentata dal Tevere sia geograficamente che politicamente quindi divideva anche Roma.
A sud la liberazione alleata aveva devastato interi territori e la Napoli di Curzio Malaparte sanguinava di piaghe che non si sarebbero più risanate. Il 1943 era pieno di interrogativi. “Potremmo anche vincere purché finisca presto” è la battuta antifascista che riporta proprio Monelli.
Rileggendo quel libro però la cosa che colpisce di più è la divisione in due di un pubblico che sia pure senza social ma nelle piazze e nelle strade romane sa tutto della guerra, ha informazioni di prima mano, conosce perfettamente tutte le dinamiche ma in realtà nonostante le sue certezze presunte non sa proprio nulla e non capisce proprio nulla, abboccando ai fiumi di propaganda che gli si riversavano addosso.
Sono tempi di propaganda anche questi. I burattinai muovono le loro marionette facendo leva sulla convinzione che l’italiano medio abbia l’età intellettiva di un bambino di 10 anni. Di contro è tutto uno schierarsi per tifoserie e per convenienze dimenticandosi che le opinioni se non sono fondate sui fatti e sul ragionamento sono stupidità. Per settimane per esempio la paura del costo del gas ha dominato social e giornali ma ora del crollo dei prezzi se ne parla pochissimo e quasi con imbarazzo perché alla gente bisogna fornire e alimentare ansia.
Resta forte la sensazione di un paese che viene preso in giro continuamente, suo malgrado o forse peggio ancora ben contento che questo accada. Il coraggio non è mai stato caratteristica dominante in una terra che ha sempre dovuto difendersi da invasori e dominatori, che fatica ancora, dopo oltre mille anni, ad uscire da un feudalesimo strutturale e culturale dove conti, baroni e quant’altro si riproducono sotto altre forme ma con le stesse identiche caratteristiche. Erano anche quelli tempi di profonde lacerazioni da guelfi e ghibellini in poi, di fazioni e di propaganda più o meno becera. Niente di nuovo insomma.
Tornando a Monelli e a quell’Italia in cui il regime fascista annegava nel sangue e nel ridicolo, anche qui sembra di leggere storia di oggi. Il che non é bello e neppure istruttivo.

Preciso.