Logbook 171 – Simul stabunt

Mai così vicini, dicono gli osservatori internazionali e effettivamente mai così vicini non sembrano essere mai stati due regimi come quello degli ayatollah iraniani e quello del KGB russo in arte Putin. Sono sotto attacco entrambi e c’è da pensare che la loro fine si intraveda in fondo al tunnel. In Iran sono già scese in campo le madri e quando scendono loro è solo questione di tempo per vedere gli assassini dei loro figli in galera o in fuga. 

La rivoluzione in corso crea imbarazzi, visto che l’Italia è il secondo partner commerciale dell’Iran e così è facile capire come, su quello che sta succedendo laggiù, i media italiani – il cui coraggio è peraltro notorio – glissino con eleganza. La Russia regge a fatica sulle balle epocali che il regime elargisce insieme al fiume di rubli con cui si compra la propaganda in occidente. La crisi pesa e le uscite dei gerarchi sembrano sempre più sgangherate mentre gli oligarchi si sono ormai organizzati per prendere le distanze dalla politica autodistruttiva di Putin e salvare quella che a Bologna chiamano la pilla.

Crolleranno insieme? Speriamolo ma certo mai negli ultimi trent’anni questi macellai, che praticano e rivendicano l’omicidio politico, sono stati così in difficoltà. Simul stabunt, simul cadent, dicevano i Romani e non è escluso prevedere che il crollo coinvolga entrambi anche se forse in tempi diversi. La Cina potrebbe spostare la sua attenzione alle coste del Pacifico russe, a nord dei suoi confini. L’Iran cesserebbe di essere un problema vitale per il Medio Oriente e forse una soluzione si potrebbe finalmente immaginare anche lì. La Russia potrebbe intraprendere finalmente quel percorso democratico interrotto agli inizi degli anni ‘90 dalle trame purtroppo vincenti del KGB e dei suoi uomini. Forse sono solo sogni ma se la Storia insegna qualcosa si dovrebbe essere tutti ragionevolmente fiduciosi.

“Simul stabunt” si diceva e torna in mente Montecitorio, allora rara di gaffe culturali a differenza di oggi dove di fatto questo sarebbe la norma. Era fine anni 80 – forse l’88 – e Claudio Martelli che voleva infiorare in qualche modo (peraltro inutilmente) un suo già pregevole intervento, si lanciò in una incauta citazione. Simul stabunt simul cadunt, disse infatti salvando la rima a discapito della grammatica. Subito saltò su dal suo seggio Alessandro Natta, figura da ricordare e riscoprire. Normalista, latinista, segretario del PCI, grande persona e grande personaggio era l’anima di un certo modo italiano di intendere il comunismo. “Martelli” interruppe infatti Natta dal suo seggio “Cadent non cadunt. Si dice cadent”, il tutto regolarmente riportato da ghignanti stenografi nel par terre dell’aula. Altri tempi parlamentari, altri parlamentari, altri tempi.

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